Chi dipinse Guernica? Una domanda che sembra folle, ma con la quale vorrei evocare quel famoso aneddoto in cui Otto Abetz, ambasciatore di Hitler a Parigi, il 24 marzo del 1945, a pochi mesi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, visitò lo studio del pittore e, davanti ad una fotografia di Guernica, chiese all’artista: «Questa è opera sua?», e Picasso rispose: «No, è vostra!». Secondo altre versioni, Abetz avrebbe domandato: «Maestro, questo orrore è opera vostra?», ma il risultato rimase lo stesso: l’aneddoto diventa mito e il mito emana verità. Il film-documentario Hitler contro Picasso e gli altri di Claudio Poli, evoca questo passaggio alla fine di una narrazione in cui l’arte è al centro dei rapporti di potere, segno di autorevolezza e oggetto del desiderio e dell’ira dei potenti.
L’opera, che non è certamente soltanto di Picasso, ma anche degli autori materiali della strage di Guernica, evidenzia la permanenza delle tracce di una grande collettività; è questa la domanda fondamentale dell’articolo. Dietro l’opera, unica tra i lavori dell’artista, sia nella scelta cromatica che nelle dimensioni (3,49 x 7,77 m), ci sono altre caratteristiche per le quali possiamo pensare che fu realizzata non soltanto da Picasso o dai piloti dell’Operazione Condor (che sganciarono le bombe il 26 aprile), ma anche da un’importante tradizione visuale riguardante la guerra e i suoi orrori. A partire dall’esposizione universale del 1937, anche chi la osserva, dipinge con lo sguardo e cerca di interpretare ogni elemento del quadro, la scena totale e ciascuna delle scelte estetiche di Picasso. Lo spettatore a questo punto diviene egli stesso autore dell’opera.
Guernica dipinto dalla Storia
In qualche modo Guernica è stato dipinto molto prima che Picasso prendesse il pennello in mano, perché non era la prima volta che la Spagna affrontava un conflitto fratricida. I Desastres de la guerra di Goya, come tutta l’iconografia delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni ottocentesche, ne sono la prova. Era la prima volta però che la Spagna diventava laboratorio di uno schieramento ideologico su scala mondiale e teatro di nuove armi e tecniche di combattimento spietate che cercano di velocizzare la vittoria: l’utilizzo dei nuovi carri armati, dei nuovi e letali aerei e dei bombardamenti dei centri abitati (che saranno adoperate nuovamente durante la Seconda Guerra Mondiale, come strategia per spaventare e abbattere moralmente il nemico). Guernica, come testimonianza della guerra, più che come propaganda ideologica, rappresentò, in questo senso, l’incontro tra il vecchio e il nuovo e la dimostrazione di un orrore in continuo aumento.
Il rapporto fra Guernica e gli orrori della guerra di Goya va ancora oltre le numerose similitudini tra i personaggi sofferenti, del terrore e del dolore. Si tratta della scelta cromatica. Amici di Picasso, come Man Ray, raccontano che lui scelse il bianco, il grigio e il nero, per velocizzare la stesura di un dipinto fatto con rabbia e indignazione. Gertrude Stein, ironizzando sul risultato cromatico della scena, disse: «finalmente Picasso [l’artista dei colori] ha trovato le sue tonalità». Le 28 fotografie che Dora Maar realizzò del quadro, riproducendo ogni momento della sua composizione, sono la testimonianza di un processo meno veloce, più calcolato, pieno di ripensamenti. Le bozze preparatorie sono la prova della riflessione profonda di Picasso, su come rendere ancora più acuto quel dolore e quella sofferenza, tramite l’utilizzo delle linee e attraverso la semplificazione delle forme dell’arte cubista.
Al di là della velocità, attribuita da Man Ray, e dell’ironia della Stein, le motivazioni dietro la scelta dell’assenza di colori, c’è il collegamento fra il modo in cui la guerra viene rappresentata nella cultura visuale sin dalla nascita dei fotoreportage, durante la guerra di Crimea (1853-1856), e il modo in cui viene raffigurata sui giornali e, con l’avvento del cinema all’inizio del XX secolo, sui cinegiornali. Picasso, infatti ebbe notizie di quel disastro di guerra tramite L’Humanitè, uno dei giornali che arrivava a casa sua a Parigi e che leggeva abitualmente. L’artista vide fin da subito il disastro in bianco e nero, e perciò ha mantenuto una linea di continuità fra la sua opera e le rappresentazioni della guerra che circolarono in tutto il mondo attraverso i mass media dell’epoca. L’importante lavoro fotografico di Robert Capa è la quintessenza di questo immaginare la guerra nella sua mancanza di colore e nel suo opporsi alla vita stessa. Se la vita è luce e colori, la guerra è l’esatto opposto.
Inoltre, si può dire che Guernica è stata dipinta anche dai più antichi modelli iconografici, che mostrano cos’è la guerra: l’afflizione e la speranza della redenzione. La donna con il figlio in braccio è la Pietà di Michelangelo, ma anche quella Vergine Maria addolorata per la scomparsa del figlio, richiesta da Franco per essere posta sopra il portico di El Valle de los Caídos.
La donna che si affaccia da una finestra con una lampada in mano è, a sua volta, l’allegoria della libertà, raffigurata precedentemente da Delacroix e da Bartholdi. Il dipinto si collegherebbe in questo modo a tutta la pittura storica, realizzata da coloro che, come aveva detto l’autore della Libertà guida il popolo, non potendo combattere per la propria Patria con le armi, possono almeno rappresentarla. Nel 1945 Picasso dirà: «La pittura non è stata inventata per decorare gli appartamenti, è un’arma di offesa e difesa dal nemico». In questo senso, ogni pennellata è stata un colpo contro i nemici della democrazia.
Il soldato caduto in armi, o la statua di un combattente caduto, che appartiene ad un altro tempo, poiché porta per fucile una spada, può rappresentare ognuno dei morti che si sono battuti per una causa politica o religiosa, dal Marat di David o il Velarde di Castellano, al generale Mercel di Trumbull o, ancora più lontano, alla Morte di Decio Mure di Rubens. Ogni singolo elemento che fa parte del quadro è una finestra infinita che guarda ad altre immagini, appartenenti a una tradizione di guerra, rivoluzioni e resistenza. Le altre due donne nella parte destra del quadro sono, oltre che la raffigurazione delle grandi vittime della strage, la rappresentazione di tutte le combattenti che si unirono ai milicianos, testimonianza ulteriore della notevole partecipazione delle donne alla guerra. L’opera, considerata l’ammirazione di Picasso per l’arte primitiva, ricorda, inoltre, un affresco siciliano del 1446 (oggi nella Galleria di Palazzo Abatellis), chiamato Il Trionfo della Morte.
Per quanto riguarda i tre animali raffigurati nel dipinto, il cavallo al centro della scena, il toro e la colomba a sinistra, fanno parte dei motivi ricorrenti in tutta l’opera dell’artista e configurano una simbologia molto ambigua. Dopo le numerose interpretazioni fatte dai critici e, infastidito dalle mille domande al riguardo, Picasso dichiarò che il «cavallo era soltanto un cavallo, il toro solamente un toro, la colomba semplicemente una colomba…».
Anche noi abbiamo dipinto Guernica
Dall’esposizione universale di Parigi nel 1937 fino alla fine della guerra, la missione politica dell’opera fu quella di ricavare fondi e conquistare appoggi politici per la causa repubblicana. Guernica a Parigi fu l’opera al centro del Pabellón Español, circondata dai lavori artistici e partigiani di Jospe Renau e di Mirò che partecipò con il murale El Segador. Mentre i repubblicani perdevano la guerra nel 1938, Guernica, grazie al lavoro di promozione del famoso collezionista Paul Rosenberg, fece un grande tour per l’Europa: Oslo, Copenaghen, Stoccolma, Londra, Leeds, Liverpool e Manchester. Ma non fu abbastanza e, finita la guerra, diventa un simbolo di resistenza contro la dittatura, con sede al MOMA di New York. Durante la guerra delle due Coree, torna in Europa, al Palazzo Reale di Milano, questa volta in compagnia di altri due dipinti: Guerra e Pace.
Dopo un ulteriore viaggio attraverso l’Europa, Guernica tornò al MOMA nel 1958 e rimase lì fino alla scomparsa, prima di Picasso nel 1973, e successivamente di Franco, nel 1975, per poi ritornare in Spagna: «l’ultimo esiliato» della guerra civile, come riportato dal quotidiano ABC.
Mentre altri artisti del Novecento, gli amici del pittore, i critici d’arte, e un vastissimo numero di persone si ponevano grandi quesiti sulle intenzioni figurative di Picasso, il dipinto girava il mondo come ambasciatore di pace. Più che dagli storici dell’arte, il quadro viene definito dal suo titolo e dal suo utilizzo nella storia. La copia del dipinto, nella sala del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e la sua presenza in innumerevoli scioperi a favore delle cause giuste in tutto il mondo, ne sono la prova. Per un’ironia della storia, durante la seconda offensiva della guerra del Golfo nel 2003, sotto la presidenza Bush, Colin Powell, prima di realizzare il suo resoconto di quello che sarebbe avvenuto dopo l’invasione militare americana in Iraq, chiese di nascondere la replica del Guernica sotto un grande telone blu, per evitare la contraddizione tra le notizie fornite dai telegiornali e quanto raffigurato durante la guerra civile spagnola.
In questo modo Guernica diviene non solo opera di Picasso ma anche dello sguardo del pubblico, che dipinge ciò che ognuno desidera trovare nel quadro. Guernica, quadro unico e multiplo, temporale e atemporale, antico e sempre nuovo è stato e continuerà ad essere dipinto da tutti noi.
Postilla bibliografica
David Becerra Mayor, La Guerra Civil como moda literaria, Madrid, Clave Intelectual, 2015.
Robert Capa, Cuadernos de Guerra en España (1936-1939), Valencia, Sala Parpallo, 2009.
J. Clark, Marisa García Vergara, Jeremy Melius y Anne M. Wagner. Georges Bataille, Anthony Blunt, Carl Einstein, Michel Leiris, Herbert Read y Roland Penrose, Piedad y Terror en Picasso. El camino a Guernica, Madrid, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, 2017.
François Gilot et Carlton Lake, Vivre avec Picasso, New York, McGraw Hill, 1964.
Antonio Saura, Contra el Guernica, Madrid, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, 2009.
Hugh Thomas, Storia della Guerra Civile Spagnola, Torino, Einaudi, 1963.
Chirsian Zervos, Pablo Picasso, Vol. I-XXXIII, Paris, Chartiers d’Art, 1982.
L'autore
- Dottore di ricerca in Studi Letterari, Linguistici e Storici dell’Università degli Studi di Salerno. Docente colombiano formatosi alla Pontificia Universidad Javeriana di Bogotá, nella quale ha completato due corsi di laurea e un corso di magistrale. Si è laureato in Filosofia (2013) e in Letteratura (2014). Ha poi ottenuto la laurea magistrale in Storia (2016) e la tesi è stata pubblicata nell’aprile del 2018. Nel 2019 ha pubblicato la traduzione di Lavorare Stanca di Cesare Pavese e una propria raccolta di poesie: Más allá todavía. È in corso di pubblicazione il libro: Las imágenes del poder y el poder de las imágenes (Editorial Javeriana), che parte dalla stesura di uno dei capitoli della tesi dottorale. Attualmente è borsista post-dottorale presso l'Istituto Italiano per gli Studi Storici Benedetto Croce.
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