Isabella Ciaffi porta in sé la severità dell’Abruzzo, la regione dove è nata, e la bonomia di Bologna, città che l’ha accolta. Donna di poche parole, ma di profondo sentimento, vederla lavorare nel suo atelier non è solo un piacere, ma costituisce un’esperienza che educa e sprigiona cultura: sembra di assistere a un processo di creazione còlto nel suo farsi. Nel suo laboratorio Isabella stampa in autonomia, eseguendo da sola tutto il percorso di realizzazione. Molto vicina alle espressioni contemporanee dell’arte, Ciaffi ne sa cogliere i pregi e le qualità. La scintilla che ai suoi occhi appare sempre manifesta non ha bisogno di essere ricercata: si esprime in lei nella maniera più naturale possibile. Il suo spirito, in qualche misura ribelle, l’ha guidata fin dai suoi primi passi, dove è apparsa artista autorevole già nella formazione, senza tuttavia il conforto di una scuola. La sua frequentazione all’Accademia delle Belle arti bolognese è stata da spettatrice, non da iscritta. Le istituzioni infatti, hanno rappresentato per lei una gabbia troppo stretta per contenerne l’estro e la personalità: una costrizione più che una opportunità. Con spirito indipendente e fermezza ha seguito in particolare i corsi di Raffaele Sparvieri e dell’artista informale Pompilio Mandelli, che riconosce come maestro. A seguito delle lezioni di Mandelli, viene chiamata ad insegnare e a partecipare all’importante laboratorio di sperimentazioni grafiche di Mario Leoni-Deborah Whitman. La sua resilienza la spinge fino a diventare insegnante del master al Museo di Arte Figurativa Contemporanea di Potenza.
Artista a tutto campo, ha sperimentato le varie specialità prima di innamorarsi dell’incisione. Sempre solitaria nell’arte dell’incisione, Isabella Ciaffi si dedica con passione all’acquaforte, fino a convogliare tutto il suo sapere nel libro d’artista. Non ha la presunzione di controllare la natura e piegarla ai suoi voleri, ma se ne lascia coinvolgere senza pretendere di domarla, ammirandola piuttosto con stupore ogni volta che si manifesta. La natura è anche imprecisione, che si trasforma però in pregio e unicità attraverso la contemplazione dell’artista. L’imprecisione è un unico incontrollabile in un tempo imprevedibile e per questo, secondo l’artista, va valorizzato. Promuovendo l’imprecisione a pregio, la Ciaffi si muove più liberamente, senza rispettare l’ortodossia di alcun metodo cosicché il suo fare artistico si caratterizza proprio per questa sua unicità. Critici autorevoli, come Andrea Emiliani, hanno tessuto le sue lodi, sottolineando come sia importante per la Ciaffi la tensione all’espressione forte, decisa, volta a stabilire un rapporto equilibrato tra parole e immagini. Il tratto che la caratterizza è il nero furioso, incontrollabile nonostante sia incavato nel foglio. Il nero crea un contrasto con il bianco un contrasto tanto forte quanto le emozioni che suscitano le sue acqueforti, che richiamano i più celebri incisori del passato e sanno essere anche sinuose e dolci, tracciate da una mano che sa accarezzare e che accompagna le linee fin dove vogliono spingersi: verso l’infinito indefinito. Isabella Ciaffi si distingue anche per la forza d’animo che emerge dalle sue opere e dallo spirito guerriero che alimenta il suo furore. Come per Hartung, i cui fendenti colpiscono la tela, anche per la Ciaffi il foglio può essere inteso come campo di battaglia.
Molte le mostre collettive alle quali ha partecipato e diverse le personali che le sono state riservate, fra le ultime delle quali quella del 2016 a San Pietro in Casale (Bologna) e ad Aversa nella Galleria Spazio Vitale nel 2019. Sempre in Campania, a Capodrise, il Museo delle Arti ospita una sua esposizione permanente. Ha esposto a Lugano alla prestigiosa Biblioteca Salita dei Frati e a Magonza al Museo Gutenberg e sue opere sono conservate in importanti istituzioni italiane ed estere, molte delle quali l’hanno invitata ad esporre le sue gravure e i suoi libri.
Il passaggio dalla pittura all’incisione prevede anche un cambio di approccio oltre che di strumenti. La scelta ha anche modificato la tavolozza a tua disposizione: dalla varietà dei colori a un uso lussuoso, forte e sofisticato del nero in opposizione al bianco, semplice, puro ed innocente. Cosa ha provocato questa variazione e come ti sei rapportata a questo cambio di espressione? È una strada che intendi continuare a percorrere?
Non è stato un cambio ma credo un’evoluzione che mi è sembrata fluida e lenta. Prima della mia comparsa nelle aule dell’accademia di Bologna, provenivo da anni passati nello studio di un maestro dove, probabilmente ammaestrata a vedere lavorare in bianco e nero e un assiduo utilizzo della matita per il disegno, si è raffinata in me la volontà di ricercare una sobria estetica. L’inversione del pensiero cromatico e formale è avvenuta quando ho iniziato a conoscere e lavorare con la tecnica dell’incisione. La bellezza dei segni puri, le rette che si intersecano, il nero e il bianco che si trovano medesimi e la fatalità, tutto ha perfezionato il mio modo di vedere e di pensare che era già così formale. Percorrerò questo sentiero fino alla fine.
Nella creazione di un libro d’artista si traggono ispirazioni da varie fonti, nel tuo caso hai fatto spesso molto affidamento sulla lettura. Come avviene il processo di trasposizione e in che modo i testi, in prosa o poesia, si riversano nelle tue pagine?
In una lettura cerco consapevolmente (o inconsapevolmente) di instaurare un colloquio tra me lettore e lo scrittore, per raggiungere insieme il tema espressivo che determinerà la scelta per la realizzazione del libro d’artista. Sicuramente presto molta attenzione a non invadere con i miei segni gli spazi che spettano alla parola scritta. In un libro l’equilibrio armonico tra segno grafico e segno tipografico deve avere uguale misura metrica, quasi fosse un’equazione matematica.
Fra gli autori che hai prediletto c’è Melville, come dimostra un tuo splendido lavoro su Moby Dick. Quali altri scrittori ti hanno ispirato?
Il libro d’artista per il mio pensiero ha bisogno della parola scritta. Da quando ho iniziato a esprimermi in questa forma d’arte, cerco le poetiche che più mi sono vicine per carattere e cultura. Gli autori che ricerco sono quelli i cui testi raccontano la supremazia della natura sull’uomo, e avendo il segno come unico strumento mi misuro con cautela nella narrazione. Uno dei primi libri d’artista a cui ho lavorato, era incentrato sulle poetiche dell’Appennino del poeta bolognese Gaetano Arcangeli, poi ho incontrato Giovanni Pascoli che dalle sue passeggiate traeva ispirazione per i versi. Questi amori per le atmosfere montane e agresti mi hanno trasmesso un desiderio di imprimere graficamente il rapporto tra natura e uomo.
Ricavare ispirazione dalle opere importanti della letteratura pone sempre davanti a qualche difficoltà o timore reverenziale. Da quale genere preferisci partire nei tuoi lavori e dove incontri le maggiori difficoltà?
La grandezza di un testo scatena in me un timore che mi fa sentire piccola piccola. Provo quasi paura nell’iniziare la fase della progettazione del libro. La lettura però fa miracoli così riesco a instaurare un rapporto familiare con le parole del testo, tutto quindi si distende. Tuttavia, solo durante l’esecuzione fisica del lavoro riesco ad arrivare ad una sottesa armonia con l’autore, che rimane latente anche dopo aver cucito il libro, suscitando in me il dubbio di essermi posta in contrasto con la poetica dello scrittore.
Nella mostra di San Pietro in Casale dal pregnante titolo Visita virtuale al sottosuolo delle immagini hai indagato uno spazio che hai potuto raffigurare nel tuo ultimo libro d’artista. Quali sensazioni hai provato nell’illustrare il sottosuolo in letteratura?
Nel realizzare il libro d’artista sulla tesi di Samuele Di Saverio De profundis. Manifestazioni del sottosuolo: Dostoevskij, Don DeLillo, Murakami, ho vissuto la sensazione di viaggiare nel sottosuolo delle complicate zone dell’intelletto e dell’immaginazione. Mi sono sentita come un sacerdote etrusco che tramite un foro nel pavimento dell’altare, lega il piano dei sacrifici alle profondità della terra cercando l’estensione sotterranea della vita, anche in assenza della voce.
Di recente si è tenuta presso la Biblioteca dell’Archiginnasio una bella mostra sui libri d’artista con testi di Roberto Roversi, l’intellettuale di punta bolognese che si è voluto ricordare a otto anni dalla sua scomparsa. Vi hai partecipato con un tuo libro. Come hai affrontato la poetica di Roversi e quali sono state le difficoltà che hai incontrato nel realizzare il tuo manufatto?
Trovare una soluzione che rispettasse le parole scritte dal poeta Roberto Roversi in Quattordici volte l’alba, è stato complesso. Sentivo la responsabilità di non dover violare l’intimità dell’argomento e neppure di contaminarlo con interventi inappropriati. Quando faccio un progetto per un libro d’artista, la prima cosa che penso è come cucirlo. È qui che nasce un’altra difficoltà: la cucitura che in questo caso diventa sutura, come se dovessi saldare tra loro due lembi rappresentati uno dalla parola intesa come segno grafico l’altro dal significato della parola stessa. Leggendo, leggendo, e rileggendo il testo, ho ascoltato quello che le parole scritte mi suggerivano. Sono loro ad indicarmi come edificare la loro casa.
L'autore
- M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it
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