L’anno 2020 è stato fortemente colpito, anche sul piano museale ed espositivo, dal virus Covid19, e anche a Tokyo moltissimi eventi sono stati rimandati o annullati. Non è andata così per il trittico di mostre allestite presso il Museo Nazionale di Arte Occidentale di Tokyo (The National Museum of Western Art, d’ora in poi NMWA), dedicato ai manoscritti europei della Collezione Naitō, e collettivamente intitolate «Manuscripts from the Naitō Collection».
La prima mostra, svoltasi dal 19 ottobre del 2019 al 26 gennaio 2020, era incentrata sui manoscritti gotici di area centro-europea; la seconda, dal 18 giugno al 23 agosto 2020, sui libri d’ore quattro e cinquecenteschi (quindi di piccolo formato), specificamente fiamminghi e francesi, con qualche esempio tedesco; la terza, apertasi l’8 settembre e in programma fino al 18 ottobre 2020, sui libri liturgici (quindi di grande formato) di area italiana e francese (in fondo all’articolo le indicazioni complete, con link alle rispettive pagine del museo). Tutte le mostre, di circa 50-60 pezzi l’una, hanno visto la collaborazione della Western Art Foundation, e sono state ospitate nelle due ampie stanze della Galleria di disegni e stampe del NMWA, collocata nell’Ala Nuova del museo.
La collezione Naitō nasce dall’interesse maturato dal dottore Hiroshi Naitō (n. 1932), professore emerito di biologia dell’Università di Tsukuba e dell’Università di Scienze della Salute di Ibaraki, che durante una visita a Parigi ebbe modo di vedere in vendita, presso alcune librerie, fogli miniati tratti da manoscritti medievali. Affascinato dallo splendore artistico delle decorazioni, dalle molteplici valenze che le immagini avevano in rapporto al testo, e dalle diverse tipologie e formati librari, che lui definisce come «Gothic manuscript microcosms», acquistò nel corso degli anni centinaia di pezzi particolarmente pregiati, che nel 2016 ha donato al NMWA. Allo scopo di arricchire ulteriormente la collezione Naitō ha avuto a disposizione anche fondi pubblici erogati dalla Western Art Foundation, collegata al museo. Le tre mostre intendono esporre per la prima volta questa nuova collezione del NMWA, e sono un’occasione per introdurre il pubblico giapponese alle numerose questioni storiche, culturali e artistiche riguardanti il libro manoscritto europeo.
Ho avuto modo di visitare la seconda e la terza delle mostre, allestite in modo da valorizzare da una parte l’aspetto artistico delle miniature, incorniciate e appese ai muri a mo’ di dipinti, dall’altra quello educativo, con spiegazioni inerenti gli aspetti stilistici delle decorazioni a fianco o al centro delle sale, in grandi pannelli multilingua. Si trovano ad esempio pannelli che spiegano in modo piuttosto conciso le rispettive tipologie librarie (e quindi i libri d’ore nella seconda mostra, e i libri liturgici nella terza), illustrando gli usi privati o pubblici dei libri, e quindi le tematiche e gli stili delle decorazioni miniate, in relazione alle partizioni del libro. Ad esempio a proposito dei libri d’ore un pannello apposito spiegava la denominazione e l’ordine delle ore canoniche, le preghiere e i canti relativi alle diverse ore, e quindi le ragioni delle illustrazioni sulla prima carta di ogni preghiera.
Si tratta di argomenti, diciamocelo pure, generalmente poco conosciuti anche in Europa, e del tutto esotici e misteriosi in ambito nipponico. Una spolverata di nozioni di base sui manoscritti medievali e rinascimentali (pur in mancanza di un qualsivoglia contesto storico e geografico), non fa quindi male a nessuno. Alcuni dei ‘pezzi’ in mostra sono poi eccezionali.
Della seconda mostra, posso citare ad esempio una Natività del 1485 attribuita a (ma in realtà probabilmente della bottega di) Jean Colombe (se ne veda la riproduzione sulla pagina on-line della mostra); oppure bellissime immagini di animali sui bordi di un libro d’ore di Bruges di fine Quattrocento, che paiono illustrazioni ottocentesche ad acquerello; oppure una miniatura del Maestro dei Suffragi (Leida 1500-1530), rappresentante Cristo che disputa con un uomo sul divorzio, e che già nel Cinquecento era stata inserita in una cornice in tessuto ricamato (unico ‘pezzo’, quindi, non derivante da una distruzione moderna; ma di questo dopo); oppure il messale in-folio tedesco (1504) con un’Incoronazione della Vergine, o la Bibbia di Zwolle (1474), con tre «D» parlanti con scene della Vita di Re David (foto sul sito del museo), e una pagina del Livre du Tresor, in-folio dell’‘umanista’ (sic nel pannello illustrativo a fianco) Brunetto Latini, prodotto nel 1460 nella Valle della Loira. E ovviamente come non citare l’Annunciazione del Maestro di Luçon (1405-1410: foto sul sito del museo), usata come poster per pubblicizzare l’evento?
Della terza mostra posso citare tre pezzi, tutti visibili on-line: i meravigliosi fogli (in-folio grandi) di un antifonale di Pisa, con un’iniziale «Q» nella quale è rappresentato San Paolo con la spada e il libro (1330-1340); l’iniziale «B» di un salterio fiorentino del 1380 circa, attribuita a Simone Camaldolese e rappresentante David che gioca col Salterio; e una splendida pagina dal Breviario di Lionello d’Este (Ferrara, 1441-1448), copiata da Francesco da Codigoro e decorata da Giorgio d’Alemagna.
Si può ben comprendere come la bellezza di alcuni di questi dipinti su pergamena sia di per sé motivo validissimo, e anzi importante, per visitare la mostra. E come ho già anticipato quel minimo di contesto che i pannelli forniscono può essere utile per neofiti ma anche per chi, più o meno esperto di storia della miniatura, sia interessato ad analizzarne alcuni aspetti su un piano più generale e alla portata di tutti. Tutto ciò detto, trovo un peccato che sia mancata proprio la prospettiva codicologica e di storia del libro che dovrebbe essere fondamentale in questo genere di allestimenti.
In primis: il Museo Nazionale di Arte Occidentale di Tokyo (il NMWA, quindi) è un museo specializzato in pittura, pur avendo alcune sculture disposte all’ingresso e nei corridoi. La gran parte delle mostre organizzate nelle sezioni speciali riguarda quindi arti grafiche come la stampa o, appunto, la decorazione libraria. Di conseguenza questa mostra di miniature, che si presenta come mostra di ‘libri manoscritti’, verte unicamente sulla decorazione, ignorando quasi completamente gli aspetti materiali e costruttivi dei libri, se non quando strettamente necessari per spiegare le tematiche rappresentate dal pennello dei miniatori. In questo senso è più che significativo che nessuno dei pannelli esplori minimamente la storia del libro manoscritto in Occidente, né sia detto nulla di come venisse costruita la carta pergamena, né di come fosse poi preparata alla scrittura (ad esempio rigata), né di quali fossero gli stili di scrittura dei periodi coevi alle miniature in mostra, né dell’importanza, anche sul piano della tipologia libraria, della mise-en-page, né, ovviamente, della fascicolazione dei fogli e della rilegatura. È del tutto significativo, anzi, che manchi un qualsivoglia cenno alle tipologie decorative delle rilegature, che proprio nel caso dei libri d’ore potevano essere molto ricche e fantasiose: ma, appunto, i ‘libri manoscritti’ esposti in mostra non sono rilegati, trattandosi piuttosto di fogli tagliati via dai libri di appartenenza. Nei cartellini che affiancano i manoscritti mancano le indicazioni di dimensione dei fogli (in cm. o mm.), o di piegatura delle carte (in-folio, in quarto, ecc.). Per quanto riguarda i pochi libri a stampa miniati in mostra manca l’indicazione delle tipologie cartacee, e nei casi di carta ‘costruita’, quindi ad esempio in cellulosa, manca ogni accenno alla filigrana.
Il fatto che i soli libri completi nella seconda mostra fossero due fac-simile moderni, peraltro prestati dall’Università delle Arti di Tokyo (Tokyo Geidai), fa capire quanto l’interesse degli organizzatori vertesse esclusivamente sui ‘dipinti su pergamena’ nati come miniature di libri; e che ora, finalmente ‘liberati’ dagli scomodi contenitori originari grazie a forbici e trincetti, possono essere opportunamente appesi al muro. Le mostre, pur descritte nelle rassegne stampa come dedicate a manoscritti medievali o rinascimentali, sono in realtà organizzate come rassegne di pittura medievale, pur se di genere peculiare. Non a caso le pochissime persone del pubblico in visita alla seconda mostra si stupivano di scoprire che la gigantografia dell’Annunciazione del Maestro di Luçon riproduceva in realtà una miniatura alta 10 centimetri circa.
Manca nel pubblico la consapevolezza che le miniature, anche se non in senso etimologico, indicano un tipo di illustrazione libraria che, soprattutto nei libri d’ore, raramente raggiunge grandi dimensioni. Molti spettatori, insomma, aspettandosi una mostra di pittura (quindi con tavole di maggior dimensione), sono rimasti spiazzati nel trovarsi di fronte a opere di piccola dimensione, e hanno attraversato la mostra senza soffermarsi sui pannelli illustrativi (essenziali, invece, per cogliere almeno minimamente le motivazioni di questa forma artistica così affascinante).
Inoltre se le competenze degli espositori si concentrano unicamente sulle illustrazioni dei libri, allora le rimanenti 200-300 carte dei medesimi libri, ovvero quelle che risultino prive di decorazioni colorate o dorate, diventano un peso inutile dal quale è del tutto legittimo asportare le carte più belle. Se da una parte poi non è stato allestito un catalogo (addirittura nei cartellini dei pezzi esposti mancano numeri identificativi), e quindi risulta impossibile approfondire la conoscenza delle opere e dei maestri delle miniature in mostra, nonché ottenere una minima informazione bibliografica di storia della miniatura o di arte libraria dei paesi o periodi storici rappresentati, dall’altra sono presenti nella libreria del museo libri graficamente splendidi ma genericissimi come quelli della Taschen, oppure, e questo è ancor più significativo, dedicati piuttosto all’‘arte’ del collezionismo di manoscritti, con evidente compiacimento per il trasporto in Giappone di questi trofei occidentali.
Ora, se non c’è niente di male nel ricercare opere d’arte di altre culture, anche in mancanza di competenze specifiche, bisogna notare come la spinta all’acquisto di questo genere di opere si concentri con ogni evidenza non sui libri in quanto tali, ma specificamente su pezzi staccati da quei libri, ovvero appunto le pagine miniate. Cito dalle descrizioni ufficiali che possiamo trovare sul sito del museo (mio il corsivo): «With the approval of Dr. Naitō, Mr. Akio Naganuma generously donated funds, which combined with funds from the Western Art Foundation, have been used to collect more manuscript leaves». Quindi: non è il LIBRO a interessare ai responsabili di questo peraltro prestigioso museo di pittura occidentale, ma il singolo FOGLIO, e unicamente per la bellezza della decorazione miniata. Non c’è dubbio, d’altronde, che un museo come il NMWA difficilmente potrebbe allestire nei suoi spazi una mostra di libri, che piuttosto competerebbe a una biblioteca, oppure al limite a un museo storico.
In breve, l’allestimento non trasmette l’idea corretta che le miniature esposte non sono opere d’arte ‘complete’, ma solo frammenti di opere più grandi e complesse, ovvero di libri nati per essere ammirati, letti e usati nella loro interezza. La miniatura tagliata via dal libro è come la testa di un animale appesa in un salone. Per quanto bella e decorativa, è stata ottenuta distruggendo una creatura più grande e complessa. La ‘creatura-manoscritto’ nasce infatti dalla collaborazione di tanti artisti diversi: dal maestro cartaio, al calligrafo, ai decoratori, ai rilegatori, ecc., senza ovviamente contare l’importanza dei contenuti testuali anche in relazione alla tipologia libraria. Anche una mostra dedicata esclusivamente alla miniatura dovrebbe far passare questo messaggio.
D’altronde l’interesse per l’oggetto libro in quanto tale non fa parte della tradizione accademica giapponese. Infatti il libro è considerato importante soprattutto come veicolo di un testo, oppure come superficie per illustrazioni e dipinti. In quest’ultimo caso, i collezionisti non si sono mai peritati di tagliar via dai rotoli di testo (emakimono, o emaki) la parte illustrata per utilizzarla come dipinto da montare su rotoli di seta da appendere al muro (kakemono). Il caso più famoso, tornato recentemente alla ribalta grazie alla mostra del Museo Nazionale di Kyoto (KNM), The Thirty-Six Immortal Poets — Elegant Arts of the Classical Japanese Court (6-24 novembre 2019), riguarda i due importantissimi emaki, risalenti al XIII secolo, della più antica versione rimasta dell’antologia dei Trentasei poeti immortali (i sanjūrokkasen: il corpus testuale dell’antologia fu originariamente allestito da Fujiwara no Kintō, 966-1044), chiamata Versione Satake (Satake-bon) dal nome della famiglia che l’aveva conservata per secoli. Questa versione conteneva le poesie dell’antologia scritte in calligrafia e corredate dai ritratti in stile realistico (nise-e) dei trentasei poeti, ai quali si aggiungeva la rappresentazione del santuario di Sumiyoshi-myojin in principio del secondo emaki. Ebbene nel 1919, essendo stati i due rotoli messi in vendita a un costo troppo elevato per le possibilità di spesa dei collezionisti locali, e temendosi che potessero farsi avanti compratori stranieri, un consorzio di ricchi investitori giapponesi lo acquistò con l’intento di farlo a pezzi e distribuirne le parti ai suoi membri tramite una sorta di lotteria. E così fu: i due emaki furono divisi a seconda delle immagini in 37 pezzi. E, come spesso succede, i frammenti, rimontati su kakemono, hanno iniziato a passare di mano, e alcuni sono andati dispersi. Solo a distanza di cento anni il museo di Kyoto ha potuto esporre una versione quasi completa degli originari emaki, rintracciando e affiancando 31 dei 37 frammenti. Si capisce, dalle vicissitudini di questo oggetto considerato quasi sacro, quanto la cultura della conservazione e dell’integrità del libro manoscritto non faccia parte della mentalità dei collezionisti e (ahimè) delle istituzioni nipponiche.
Devo inoltre aggiungere che nel corso delle mostre-mercato del libro antico che ho visitato a Tokyo (ad esempio nei piani alti dei grandi magazzini di Ginza), ho trovato non di rado bancarelle che offrono in vendita stampe europee, ad esempio di Piranesi o di altri maestri settecenteschi, derivate da volumi di grande formato. Ho visto, con i miei occhi, le carcasse di cuoio svuotate di quei libri (dai quali quelle stampe erano state segate via, forse poco prima della mostra), appoggiate, a mo’ di garanzia della provenienza delle stampe, sotto le bancarelle dei negozianti. Sul piano puramente economico per un mercante vendere un libro antico, ingombrante, pesante, e destinato a essere infilato in scaffali difficilmente accessibili, può essere meno remunerativo che farlo a pezzi per venderne le carte illustrate a mo’ di dipinti o stampe da appendere al muro come quadri. Per cui non c’è da farsi illusioni: i soldi immessi nel mercato dei fogli miniati o di stampe ritagliate da libri finiscono per incentivare i mercanti a ricercare e poi fare a pezzi altri libri antichi.
Ora, passi la singola persona che, una tantum, si compri una pagina miniata da appendere in salotto. Ma nell’ambito di una serie di mostre organizzate da un’istituzione pubblica come il NMWA, non può non sorprendere l’incapacità di concepire la questione, ovvero l’opportunità di acquistare in modo sistematico fogli tagliati via da manoscritti antichi, in modo culturalmente più maturo e responsabile. Rivelatore di questo disinteresse è il fatto che in tutto il corredo esplicativo e didattico non ci si ponga mai il problema della sorte dei libri di provenienza delle miniature esposte: sono andati perduti? Sono stati distrutti? Oppure si trovano oggi in qualche biblioteca, pur se menomati e spogli della parte più importante della loro decorazione? Domande che dovrebbero far parte di quelle ricerche di partenza necessarie all’allestimento di mostre inerenti degli «handwritten manuscripts», soprattutto da parte di professionisti della cultura (peraltro supportati da generosi finanziamenti pubblici). Ma d’altronde questi ‘professionisti della cultura’ sono appunto storici dell’arte, o al limite studiosi di miniatura. Non di storia del libro, o di paleografia, o di codicologia, o di biblioteconomia, e insomma di tutte quelle discipline del libro la cui conoscenza dovrebbe essere obbligatoria per chiunque salga in cattedra a spiegare l’importanza degli «handwritten manuscripts», e si trovi poi a maneggiare oggetti tanto importanti quanto fragili.
Insomma, è piuttosto evidente che da una parte vediamo esposte, in questa serie di mostre, tante miniature che meritano di essere viste e apprezzate sia dal pubblico occidentale che da quello orientale. Dall’altra però tutto l’allestimento rischia di promuovere l’idea molto deleteria che la decorazione libraria sia l’unico aspetto culturalmente significativo del libro antico. Gli organizzatori sembrano infatti voler spingere futuri collezionisti dilettanti a investire danaro in quadretti di grande prestigio che, in realtà, sono solo scalpi di preziosi manufatti andati distrutti. La miniatura non nasce e non è intesa come dipinto da parete, neanche quella che per la sua perfezione formale può stupire il grande pubblico, almeno quando, come nel caso dell’Annunciazione del Maestro di Luçon, venga riprodotta in gigantografie da appendere sui muri di cemento della città.
Le tre mostre si sono tenute presso la Galleria di disegni e stampe del Museo Nazionale di Arte Occidentale di Tokyo (The National Museum of Western Art – Prints and Drawings Gallery):
I. Gothic Manuscripts from the Naitō Collection: Microcosms of Images Imbedded in Words, Images Surpassing Words – NMWA – dal 19 ottobre 2019 al 26 gennaio 2020 (pagina web: https://www.nmwa.go.jp/en/exhibitions/2019gothic_manuscripts.html);
II. Manuscripts from the Naitō Collection II: Medieval to Renaissance Prayers and Images – NMWA – originariamente programmata dal 3 marzo 2020 al 14 giugno 2020, ma posticipata causa lockdown al periodo 18 giugno 2020 – 23 agosto 2020 (pagina web: https://www.nmwa.go.jp/en/exhibitions/2020manuscript2.html);
III. Manuscripts from The Naitō Collection III: The Flower of Illumination. Chants to Heaven, Divine Reason – NMWA – dall’8 settembre 2020 al 18 ottobre 2020 (pagina web: https://www.nmwa.go.jp/en/exhibitions/2020manuscript3.html).
L'autore
- Lorenzo Amato è professore di Letteratura italiana presso l'Università di Tokyo
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