Per inquadrare la personalità di Josef Weiss, deceduto nell’agosto 2020 all’età di 76 anni, basterebbe citare una sua frase postata due anni fa sul profilo Facebook personale: “Sempre più cosciente delle mie mani come attrezzi dell’anima, lavoro per il mio prossimo, per la sua e la mia gioia”. Non è pura esibizione retorica: abilità manuale, intelligenza critica e coscienza morale formavano una triade indissolubile nella sua esperienza creativa. Josef Weiss, tipografo, editore, rilegatore e grafico nato a Romanshorn sul lago di Costanza ma da molto tempo residente a Mendrisio dove teneva il suo atelier, va ritenuto una figura di primo piano nel campo dell’editoria d’arte. Apprezzato dapprima nel Canton Ticino e in Lombardia, luoghi di precoci contatti professionali e istituzionali, e ben presto nel mondo intero, dall’Europa all’Australia. Tra le numerose attestazioni di stima e onorificenze ricevute in vita, vanno ricordate almeno la mostra di libri dedicatagli dal MOMA di New York nel 1992, e quella promossa dalla milanese Biblioteca Sormani nel 2017. Anche il cinema si è interessato al suo lavoro: si pensi ai documentari Il libro deve morire per nascere a nuova vita di Lukas Tiberio Klopfenstein (2012), presentato al 66° Festival di Locarno, e Il fiume ha sempre ragione (coprotagonista Alberto Casiraghy) di Silvio Soldini (2016).
Weiss è stato un uomo di cultura di stampo cosmopolitico, intenzionato a oltrepassare i confini del mondo locale (di cui peraltro stimò e pubblicò qualche autore e artista di spicco). Lo attesta simbolicamente l’interesse per due figure intellettuali rappresentative ante litteram di uno spirito europeo senza frontiere, quali Erasmo da Rotterdam e Tommaso Moro. Ne editerà i rispettivi capolavori – Elogio della follia e Utopia – per la Biblioteca dell’Utopia promossa da Silvio Berlusconi Editore (1990). Era nota a tutti la sua vastità d’intenti, che si sarebbe concretizzata in un lavoro editoriale condotto per decenni con hostinato rigore, come direbbe Leonardo. Dai piombi e dal torchio usciranno opere curate a puntino e ammirevoli dal profilo estetico. Il panculturalismo di Weiss, nutrito in egual misura di passione e intelligenza, si riverberava nelle dichiarazioni pubbliche e negli scambi interpersonali, tra l’altro nei numerosi colloqui, non solo di carattere professionale, avuti con me negli anni.
Questo attaccamento alla tradizione colta mitteleuropea ha modo di rafforzarsi grazie alle competenze linguistiche del personaggio. Oltre a conoscere perfettamente l’italiano e il tedesco, Weiss si trova a suo agio con le maggiori lingue continentali. Eppure il suo concetto di Europa non è restrittivo. Appellandosi a Goethe, di cui ammirava lo sforzo di gettare un ponte tra Occidente e Oriente in vista di una letteratura mondiale scevra da pregiudizi reciproci – come si evince dal ciclo poetico West-östlicher Divan – ideò nel 2002 una collana intitolata a sua volta Divân, composta di leporelli con testo e immagini. Il progetto coinvolse intellettuali e artisti del calibro di Mario Botta, Nag Arnoldi e il premio Nobel per la pace Rigoberta Menchú Tum. Nella collana, che fin dall’inizio intendeva offrire spunti per “un possibile dialogo tra occidente ed oriente”, figurano produzioni artistico-letterarie di ogni epoca, spazianti dalla Cina all’Italia e alla Svizzera italiana: la prima pubblicazione è riservata, quasi a demarcare il luogo di partenza dell’iter weissiano, al Diario del pittore mendrisiense Gianni Paris. Troveremo poi, tra le figure di rilievo, Rimbaud, Montale e Annalisa Cima con disegni di Botta. Non poteva mancare, curato dall’editore in prima persona, un celebre testo esoterico come le Zwölf Thesen (Dodici tesi) di Hermes Trismegistos.
Impossibile separare, nel nostro artigiano illuminato, la passione intellettuale di segno enciclopedico (per cui Teofrasto può convivere con Kleist, e Leopardi con Il Cantico dei Cantici), dall’attenzione quasi maniacale verso i procedimenti e le tecniche legati all’esecuzione del libro. Weiss si sente homo faber a tutti gli effetti. Il libro, concepito nella sua fisicità, è un oggetto prezioso, o meglio un corpo vivente. Ciò risalta in particolare quando si è chiamati a risanarlo dagli acciacchi del tempo. Rilegare un vecchio libro – si veda la rilegatura di tre volumi, Luzi, Ravasi e San Paolo, offerti a Papa Giovanni Paolo II – è come risuscitarlo: “Il libro deve morire per nascere a nuova vita”, afferma Weiss con velati riferimenti all’ars alchemica. Alchemica, o religiosa in senso etimologico, pare infatti la sua fiducia in una comunione tra spirito, forma e materia: “La rilegatura è una cosa meravigliosa, in quanto da un lato abbiamo lo spirito, dall’altro madre natura. Questi si congiungono, è un matrimonio”. Di qui anche la natura provvidenzialmente feticistica del libro, dove i dati tattili vengono esaltati. Ben vengano allora, nell’era dell’immateriale, le seguenti parole: “Meno male che ci sia ancora qualche oggetto che risponda al tatto come il libro”. Il libro, insomma, rappresenta l’altare prestigioso su cui Josef Weiss ha celebrato il suo lavoro e la sua esistenza.
L'autore
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Gilberto Isella (Lugano 1943) è poeta e critico letterario. Laureato in lettere e filosofia all’Università di Ginevra, ha insegnato nel Liceo cantonale di Lugano e alla SUPSI. È membro di redazione della rivista di cultura “Bloc notes”, di cui è stato uno dei promotori nel 1979. È stato vice-presidente del Pen Club, centro della Svizzera Italiana. Collabora con il "Giornale del Popolo" e con riviste letterarie svizzere ed estere. Partecipa alle attività delle Edizioni Opera Nuova e del Festival Piazzaparola di Lugano. È stato borsista, nel 2005, presso il Centro di Studi Ligure di Bogliasco. Come critico si è occupato in particolare di poesia contemporanea e teoria letteraria: numerosi articoli pubblicati in riviste e miscellanee. Ha tradotto dal francese Charles Racine (Stupore celeste), Jacques Dupin (Scarto) e Bernard Vargaftig (antologia Io scrivo ciò che è vivere, ADS, 2017). Ha curato un’antologia degli scritti di Mario Marioni (Fogli vagabondi) e, con Tiziano Salari, la silloge poetica Armageddon e dintorni di Giovanni Ramella Bagneri. Numerose le collaborazioni con artisti svizzeri e italiani (plaquettes, libri d’arte, ecc.), e con il regista cinematografico Adriano Kestenholz (da ultimo il video Oltre i recinti, 2014). Tra le recenti raccolte poetiche si segnalano: Corridoio polare (Book, 2006), Taglio di mondo (Manni, 2007), Mappe in controluce (Book, 2011), Variabili spessori (alla chiarafonte, 2011) , Preludio e corrente per Antoni (Salvioni, 2012) Caro aberrante fiore (Opera Nuova, 2013), L’occhio piegato (Book, 2015) e Materie se non luci (Pagine d’Arte, 2017). Per il teatro ha scritto Messer Bianco vuole partire (Teatro Alla Foce, Lugano, 2008) e Il giardino della vita (con musica di J.M.Sànchez Verdù), rappresentato a Lugano (Palacongressi) e a Cuenca (Auditorium) nel 2017. Tra i vari riconoscimenti: tre Premi Schiller, il Premio Sertoli Salis (1997), il Premio Lorenzo Montano (2007) e il Premio Giuseppe Dessì (2012). Sue poesie tradotte in francese, tedesco, lèttone, croato e albanese. Da ultimo Preludi i corrente per a Antoni, trad.catalana di Silvia Aymerich Lemos, introd. di Franca Tiberto, Pagès Editors, 2016).