Il ritratto fotografico di copertina è di Raimondo Luciani
Francesco Parisi è difficile da presentare per la molteplicità delle sue vesti, ma se si vuole avere un’idea della sua personalità bisogna tratteggiarne anche i contorni soffermandosi sulle sue diverse attività. Docente di Storia e Tecnica dell’Incisione presso l’Accademia di Macerata, Parisi è infatti anche curatore di mostre di notevole spessore, da Il Liberty in Italia, allestita presso la Fondazione Magnani di Reggio Emilia (2016) fino alla direzione di Palazzo Roverella di Rovigo dove ha curato le rassegne Le Secessioni Europee (2017), Arte e Magia (2018), Il Giapponismo in Europa (2019) oltre ad altre importanti mostre come Il Segno dell’Avanguardia, le incisioni dei futuristi allestita presso la Fondazione Ragghianti di Lucca nel 2018. È stato membro del comitato scientifico della mostra Ulisse arte e mito ed attualmente fa parte del comitato scientifico della mostra dedicata a Dante in programma presso i Musei di San Domenico di Forlì (2021), oltre a continuare la sua attività di direttore del Gabinetto Stampe del Civico Museo d’Arte Contemporanea di Anticoli Corrado (Rm), un raffinato gioiello dei piccoli musei italiani. Alla produzione legata strettamente alle mostre d’arte e ai rispettivi cataloghi Parisi unisce una intensa attività di ricerca soprattutto nelle arti grafiche a cavallo fra Otto e Novecento, rendendolo uno dei maggiori specialisti italiani del settore, autore di alcuni cataloghi generali dell’opera grafica di notevoli personalità artistiche del novecento come Publio Morbiducci, Adolfo Wildt, Aleardo Terzi e soprattutto Duilio Cambellotti, di cui è fra i maggiori studiosi. All’attività scientifica Parisi affianca quella artistica: è xilografo e realizza stampe e libri d’artista di comprovato interesse, tributari di lodi per la raffinatezza della loro esecuzione cui l’Istituto Nazionale per la Grafica-Calcografia nazionale ha dedicato una mostra personale nel 2017.
Ho accennato alla tua multiforme attività che si esprime con molti volti. In quale delle tue numerose attività ti senti di dare il meglio o ognuna di esse comporta un differente tuo approccio? Come riesci a trovare il tempo e a sincronizzarlo su così tanti eventi?
La mia duplice attività non è un fatto così isolato nella storia dell’arte europea del Novecento. Molto spesso gli incisori, mi riferisco ovviamente a quelli a cavallo dei due secoli e dei primi decenni del secolo, sono stati importanti storici dell’arte che hanno contribuito considerevolmente alla conoscenza della storia dell’incisione e dell’arte in generale. Penso ad esempio a Benvenuto Disertori, Carlo Alberto Petrucci e Alfredo Petrucci, Antony de Witt, Luigi Servolini, Camille Monnet solo per citare i più noti. Credo che mi si possa considerare all’interno di questa lunga tradizione. Per ciò che concerne il tempo e la sua distribuzione, ovviamente, tutto dipende dal tipo di eventi in cui si è coinvolti. Se l’insegnamento obbliga a un impegno preciso e costante con appuntamenti fissi, le lezioni, gli incarichi di curatela variano a seconda della difficoltà di organizzazione ed allestimento cui subentrano problemi relativi alla gestione delle risorse, tutte cose molto complesse che per fortuna, nel caso di rassegne internazionali si avvalgono di un ampio e professionale staff. Le mostre di Palazzo Roverella mi hanno occupato h24 per cinque anni tra viaggi all’estero per trattare il prestito di opere con altri musei e la risoluzioni di problemi che mano a mano venivano a porsi. Questo ovviamente ha ridotto a quasi zero la mia produzione artistica, se si esclude la realizzazione di un Libro d’Artista commissionato dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e decorato con trentasei xilografie. Fu un lavoro molto stressante, in concomitanza con la mostra “Arte e Magia”, ma carico di significato culminato con la mia mostra personale presso la stessa Biblioteca Apostolica che recentemente è stata riallestita al Bible Museum di Washington. Sono anche riuscito a portare a termine, proprio in questi giorni, l’ultima grande xilografia su legno di testa dedicata allo Shir Hashirim, il Cantico dei Cantici.
Le mostre annuali come quelle a Rovigo a Palazzo Roverella penso comportino un lungo lavoro organizzativo e scientifico. Come nasce in te l’idea di un tema e come lo riesci a interpretare trovando il materiale idoneo e i colleghi cui destinare saggi e schede per ogni sezione e singolo manufatto? L’organizzazione è parte integrante della scientificità di una iniziativa espositiva? Hai collaboratori fissi o ti avvali di volta in volta di persone nuove scovate per quella particolare manifestazione?
Le grandi mostre internazionali hanno budget di qualche milione di euro. Le scelte non sono mai autonome, ma corali. Il curatore ovviamente presenta alcuni progetti in base al suo campo di studi specialistico che si discutono collegialmente analizzando costi e prevedendo il numero di ingressi. Approvato il progetto si passa alla ricerca delle opere, che devono seguire necessariamente l’idea curatoriale: questa è la parte più complessa. Sono macchine molto complicate dove intervengono diversi fattori. Il catalogo è la parte finale, forse la più semplice. Per quanto riguarda i collaboratori li scelgo personalmente tra la comunità di storici dell’arte in base alla loro specializzazione. Per la mostra “Arte e Magia”, ad esempio, ho invitato a scrivere Jean-David Jumeau-Lafond sul Salon de la Rose Croix in quanto ne è il maggior studioso così come per la Secessione di Praga ho invitato a scrivere Hana Larvova, che curò il catalogo della mostra sul gruppo Sursum.
Fra le tante mostre dedicate a singoli artisti, fra le tue più conosciute, vi sono certamente quelle dedicate a Duilio Cambellotti, la cui poliedricità espressiva tu conosci in ogni suo anfratto. Come sei pervenuto a Cambellotti e che cosa di lui ti ha attirato maggiormente?
Ricordo ancora oggi, vividamente, una giornata trascorsa a Palazzo Venezia nelle sale dell’appartamento Cybo in visita, accompagnato da mia madre, alla mostra che Mario Quesada aveva allestito dell’intero corpus di xilografie delle Leggende Romane di Duilio Cambellotti: incisioni che mi rimasero talmente impresse nella mente da costituire quasi un rito iniziatico per la mia futura scelta di diventare uno xilografo. Di quella mostra conservo ancora gelosamente il catalogo, del quale ho curato nel 2007 l’edizione aggiornata.
È conosciuto il tuo totale disinteresse per l’arte astratta che ignori volutamente nei tuoi studi e nelle tue iniziative. Da dove comincia la tua passione per l’arte? C’è un punto di riferimento preciso?
Per la mostra “Arte e Magia” una intera sezione, cioè un piano intero, fu dedicata all’avanguardia astratta d’inizio secolo le cui origini, in molti casi vanno rintracciate nell’influenza della Teosofia e di altri movimenti spiritualisti. Un conto è l’analisi storica, che non può prescindere dai fatti precisi, e un conto sono le affinità e le predilezioni con alcuni artisti e movimenti piuttosto che con altri. Lo storico include, l’artista esclude. Le due cose non devono mai intrecciarsi. Quando si cura una mostra storica si lascia da parte il proprio gusto. Quando si realizza un’opera, per contro, bisogna avere bene in testa cosa non ci piace.
In considerazione dei numerosi riferimenti alla cultura ebraica e a un certo spiritualismo, per non chiamarlo esoterismo, come queste tematiche si inseriscono nella tua ricerca artistica? Come la xilografia si fa apertamente manifesto di un tuo atteggiamento che trae origine da letture di scrittori raffinati e da un milieu anti-storico?
Ho sempre considerato l’esoterismo contemporaneo una filosofia per imbecilli. È più facile leggere qualche delirio mistico esoterico che comprendere un testo di Martin Heidegger o di Benedetto Croce, per questo l’esoterismo piace ai cosiddetti cretini cognitivi che abbondano nella società grazie all’abbassamento del livello universitario e culturale in generale. Per quanto mi riguarda considero l’arte esoterica nel 99% dei casi come arte di cattivo gusto. Scorrendo le pagine del catalogo Arte e Magia sull’influenza che l’esoterismo ha avuto sul percorso di molti artisti tra ’800 e ’900 si può agilmente notare che più l’autore era immerso nella disciplina “mistica” più l’opera era carente dal punto di vista artistico. I grandi artisti non erano esoteristi tout court, erano influenzati solo marginalmente da quelle discipline, ne prendevano solo qualche elemento che poi presto abbandonavano: pensiamo a Kupka o Kandinsky o al nostro Balla. Per quanto mi riguarda le mie predilezioni letterarie per certi milieu antistorici o fin de siècle hanno indubbiamente indirizzato alcune mie scelte artistiche, ma non mi sono mai diretto verso l’esoterismo, né quello pratico tantomeno quello teorico. Quando per un periodo mi sono avvicinato ad Aleister Crowley ho studiato esclusivamente la sua opera da letterato, da romanziere e da poeta decadente. Per ciò che riguarda i soggetti delle mie incisioni, come puoi facilmente evincere dai titoli e dai soggetti, ci troviamo di fronte a quello che la studiosa Claudia Sonnino aveva definito – riferendosi ad uno dei miei “eroi”, il poeta ebreo Karl Wolfskehl, membro del George Kreis – una “asimmetria del cuore”, come una sorta di movimento enantiodromico delle dinamiche intellettuali sempre in bilico tra l’amore per l’antichità arcaica greca e romana e la Tanàkh.
Infine per concludere, una domanda che serve a soddisfare la mia curiosità. Cosa ti ha spinto ad abbandonare la pittura per dedicarti solo alla xilografia malgrado i notevoli risultati da te ottenuti con tela e pennello?
La pittura è dominata dal colore, il disegno dal bianco e nero. I miei dipinti non erano dipinti, erano disegni colorati ad olio. Col tempo questa contraddizione mi è apparsa sempre più evidente ed insopportabile. Il disegno e di conseguenza l’incisione consentono all’artista la più ampia libertà. Chi incide non ha obblighi di aderenza alla natura. Come sosteneva Max Klinger “la maggiore prossimità del segno all’intuizione compensa la minore corporeità dell’immagine in bianco e nero”.
L'autore
- M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it
Ultimi articoli
- avvenimenti1 Novembre 2024Narrare una “private press”
- In primo piano28 Settembre 2024La Tallone, una Gens di genio
- conversando con...14 Settembre 2024Maria Gioia Tavoni intervista Amina Crisma
- conversando con...8 Aprile 2024Maria Gioia Tavoni intervista Gino Ruozzi