Il ritratto fotografico di copertina è di Marina Samoilenko
In una precedente intervista con Laure Gauthier, ho avuto modo di dialogare con lei sulla genesi di alcune sue opere, gli autori che l’hanno ispirata, il suo modo di concepire la poesia, il rapporto tra poesia e musica che sperimenta nella sua attività artistica ed attraverso fruttuose collaborazioni con diversi compositori. In quest’occasione, complice la sua partecipazione al “Festival europeo della poesia ambientale”, mi limiterò ad alcune domande relative all’ambiente.
Quale posto occupa l’ambiente nella sua poesia?
La mia poesia mette in atto gli attacchi scagliati dalla società capitalista e tardo-borghese contro l’individuo, il suo corpo, la sua lingua, il suo pensiero e quindi la sua singolarità. Nei miei primi testi, in risposta a questi attacchi, la natura si fa rarefatta ed il campo del racconto è ridotto al nostro mondo estremamente urbanizzato. La natura vi è presente ma sotto forma di elementi semplici, di materia prima per meglio dire: in kaspar de pierre, la terra, la pietra e l’acqua sono onnipresenti, quasi come l’oggetto di un quadro di Arte Povera. In je neige (entre le mots de villon), la neve è l’unico elemento della natura ed esso collega la Parigi del XV secolo alla nostra epoca, i fiocchi evocano la frammentazione de Il Testamento, opera di François Villon, il movimento dell’eredità: questa natura compare nel titolo delle opere kaspar de pierre (“kaspar di pietra”), je neige (“io nevico”). Les corps caverneux (inedito 2019-2020) rappresenta una rottura, poiché questa volta la minaccia che incombe sulla natura è detta nella sua violenza, soprattutto nella prima sequenza “rodez blues”, dove si affrontano le variazioni climatiche sotto forma di pioggia e di un ritmo blues, o ancora in “la forêt blanche”, una risposta a Le fantasticherie del passeggiatore solitario di Jean-Jacques Rousseau: una marcia filantropica in una foresta a cui non sappiamo più dare un nome al posto di una passeggiata misantropica dettagliata con una precisione da erborista.
In che modo la poesia può contribuire ad aumentare l’interesse per l’ambiente?
La poesia non ha un’utilità precisa, a parte la poesia impegnata. Peraltro, non è poesia d’evasione, ha una dimensione oracolare, dà voce a tutto ciò che non ha accesso alla parola ed allude a quello che verrà. Non è detto lo faccia affrontando direttamente un argomento, ma attraverso qualche espediente, creando divari: illustrando mondi senza natura. Non bisogna cedere alla facilità di parlare di una natura stereotipata, come durante il Romanticismo, di sciamani, di lupi o di foreste, poiché la poesia è un genere che sfugge al controllo. Tuttavia, credo che accentuando le disparità, distorcendo la lingua, facendo ascoltare la voce di ciò che è minacciato (l’acqua, i fiumi, gli animali, …) la lingua della poesia possa occuparsi della natura, dell’animalità presente come segno di umanità, e segnalare il “mondo che brucia”. Vanno in questa direzione opere come Le livre des cabanes di Jean-Marie Gleize (Seuil, 2015), De la Loire di Philippe Beck (Argol, 2008), o ancora Peuplié di Lucie Taïeb (LansKine, 2019).
L’intervista è stata realizzata in collaborazione con Sapereambiente
L'autore
- Gabriella Serrone è Dottore di Ricerca in Linguistica francese ed è specializzata nel settore della fraseologia e della traduzione. Ha ricoperto il ruolo di Docente a contratto di Lingua francese presso l'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale per gli anni accademici 2016/2017, 2017/2018 e 2018/2019. Inoltre, è giornalista pubblicista e collabora con testate giornalistiche on line. Ha tradotto per Macabor Editore La città dolente di Laure Gauthier (2018), kaspar di pietra (sempre di Laure Gauthier, di prossima pubblicazione) e L’infinito approssimarsi di Sylvie Fabre (2019), con prefazione di Fabio Scotto.
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