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Scegliere il legno per fare arte. Maria Gioia Tavoni a tu per tu con Gianfranco Schialvino e Gianni Verna

Spiccate personalità diverse sono Gianfranco Schialvino (G.S.) e Gianni Verna (G.V.), ma i due artisti con una specifica poetica vanno tuttavia uniti se si vogliono comprendere a fondo i loro generosi sforzi per salvare e riportare ai lustri del passato l’incisione, in particolare, quella su legno.

Pochi cenni al loro vissuto: Gianni Verna, diplomato felicemente all’Accademia Albertina di Torino, nonostante brillanti esordi in pittura, si dedica con entusiasmo all’incisione e sceglie proprio la grafica come suo maggiore mezzo espressivo e, dopo serrati impegni calcografici, finisce col privilegiare, appunto, la xilografia. I suoi panorami, i suoi animali dal vero o ripresi dal mito costituiscono un “bestiario” continuamente variegato e arricchito a ogni riproposta, reso godibile nei vari spazi che accolgono suoi lavori. Conquistato fin da subito il plauso generale, Verna è presente in numerose e prestigiose gallerie e le sue opere sono esposte in importanti spazi pubblici e privati, oltre a essere andate ad arricchire fondi specialistici di numerose istituzioni ed essere comprese nelle raccolte dei maggiori collezionisti non unicamente italiani.

Gianfranco Schialvino segue medesime traiettorie. Pittore e incisore, si laurea in Lettere con una tesi in Storia della musica all’Università di Torino discussa con Massimo Mila. Studia disegno con Tullio Alemanni. Espone dal 1971, in numerose esposizioni collettive, compresa quella al MoMA di New York del 1992 The artist and the book in 28th Century in Italy. Partecipa all’estero a più di cinquanta mostre personali: Stoccolma, Edimburgo, Montevideo, Buenos Aires, Montréal, Ankara e i suoi lavori sono presenti in numerose istituzioni italiane e estere.

Ma ecco perché è bene presentare i due artisti insieme. In epoca poco sospetta, anzi in anni che sembravano favorevoli alla gravure quando essa fosse frutto di vera arte e non solo di mestiere, Schialvino e Verna si uniscono nel dar vita, nel 1987, all’associazione Nuova Xilografia. I trent’anni della Nuova xilografia, felice anniversario, e la rivista «SMENS», anch’essa scaturita da un progetto comune e fondata sempre dai due sodali, sono stati al centro di numerose iniziative, fra cui una delle più rilevanti è stata la mostra al Castello Sforzesco di Milano, nel 2016, organizzata dalla Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” in collaborazione con la Biblioteca Trivulziana. La mostra si è impegnata nel raccontare, con opere originali esposte, il viaggio dei due artisti e i temi che maggiormente li hanno visti uniti nel costruire questa esperienza grafica che mi risulta non avere precedenti in età contemporanea. Entrambi hanno avuto critici d’eccezione, come Paola Pallottino, Federico Zeri, Angelo Dragone, Stefano Salis e bibliotecari affermati, e sono stati ospiti di spazi fra i più ambiti come la milanese Kasa dei Libri di Andrea Kerbaker.

Da qui prendo le mosse per domandare ai cari amici: come è avvenuto il vostro incontro e come siete pervenuti a privilegiare la xilografia fra le varie altre modalità e specialità incisorie? Che cosa vi ha attratto nell’uso del legno più ancora che di altri supporti su cui incidere?

Gianni Verna - Sultano xilografia mm 600x 500 -2016
Gianni Verna – Sultano xilografia mm 600x 500 -2016

(G.V.) Il nostro incontro è avvenuto in una stamperia/galleria di Torino negli Anni Ottanta. Per fare una esposizione a Torino agli Antichi Chiostri di via Garibaldi occorreva essere una Associazione: così è nata l’Associazione Nuova Xilografia. Dopo i primi esperimenti di xilografia negli anni ’60 ho cercato di imparare il linguaggio calcografico: dall’acquaforte, acquatinta e le incisioni dirette e un giorno ho lasciato il realismo dell’acquaforte pointillé e sono passato ai segni violenti della xilografia di filo. La scelta del legno è stata decisa dalle molte possibilità che ha il legno con le sue venature le quali si possono far risaltare con delle spazzole metalliche o ridurre con il turapori.

 

 

 

 

Gianfranco Schialvino - Amazzone - xilografia, cm 40 x 30 - 1992
Gianfranco Schialvino – Amazzone – xilografia, cm 40 x 30 – 1992

(G.S.) Andavo a far stampare le mie lastre a Torino, alla “Tuttagrafica” di Piazza Carlina, frequentata dai maestri dell’Accademia Albertina. Lì ho conosciuto Verna e dopo qualche tempo abbiamo cominciato ad esporre insieme le xilografie. Mio nonno era un falegname, e il legno come matrice mi ha sempre affascinato. 

Nuova xilografia è una Associazione fondata per divulgare una specialità in un periodo ancora favorevole alle opere incise ma forse con maggiore attenzione nei confronti della calcografia. In Italia, paese che ha alle spalle un bagaglio espressivo di notevole rilevanza anche per quanto riguarda espressioni xilografiche, il vostro impegno si è ispirato a quali precedenti incisori?

(G.V.) Più che alla xilografia italiana mi sono ispirato alla xilografia Giapponese con i suoi tagli verticali, in quel periodo ho intagliato molte cascate con un segno essenziale, anche se la xilografia Giapponese è a colori ed io eseguivo in bianco/nero.

(G.S.) Negli Anni 80 lavoravo nel mondo della moda e andavo spesso in Germania. Ho conosciuto lì le opere degli espressionisti e ne sono stato attratto. Mi piaceva il segno immediato e istintivo di chi si era opposto ad un accademismo decorativo per cercare di esprimere la realtà anche interiore. 

Insieme avete affrontato anche la creazione (1997) di una rivista “SMENS” voluta per tramandare il rapporto fra l’arte e la poesia, ma che è stata anche un’operazione che oserei definire “aristocratica” per i mezzi artistici di cui vi siete avvalsi con un rimando alla grande tradizione italiana dei primi del Novecento, anni in cui si collocano altre esperienze di incisione su legno come, ad esempio, le riviste “Xilografia”, “L’Eroica” e “Leonardo”. La vostra testata è tutta “fatta a mano”, ovvero non è solo xilografica nelle illustrazioni come le antenate, ma è pure stampata al torchio con caratteri di piombo su carta al tino. Potreste sciogliere l’acronimo e narrarci come vi siete divisi i compiti e se vi sono state istituzioni che vi hanno aiutato?

(G.S. e G.V.) Nel 1997 per festeggiare i dieci anni di attività espositiva insieme è nata la rivista Smens. Schialvino era in contatto con poeti e scrittori per avere i testi ed io chiedevo le xilografie agli artisti e incisori. La stampa era fatta insieme al torchio: prima si stampava il testo in piombo ed in seguito le xilografie, poiché tra il testo e le vignette c’è diversità di inchiostrazione e di pressione. Quando abbiamo iniziato a stampare a colori il lavoro si è moltiplicato: ogni colore esige un nuovo passaggio al torchio: per il numero 11 di Smens abbiamo superato i ventisettemila passaggi. Avevamo abbonati in Italia, Francia, Germania, Spagna e anche in Usa, a Boston. L’aiuto dalle Istituzioni arrivava con il loro abbonamento alla Rivista e oggi Smens si trova in molte Biblioteche importanti sia italiane sia straniere. 

Mi soffermerò ancora su “SMENS” che è uscita senza interruzioni dal 1997 al 2004. I tempi sono molto cambiati rispetto agli anni in cui si colloca la vostra comune esperienza a favore della grafica d’arte. Qualche cosa sembra tuttavia risvegliarsi in questi ultimissimi anni. Considerate “SMENS” un’esperienza conclusa o pensate che la vostra rivista possa considerarsi in stand by alla luce del risveglio a favore della grafica d’arte di questo ultimo periodo? Se riprenderete in mano il progetto che cosa pensate di cambiare e di promuovere di nuovo?

(G.V.) Quando una tecnica viene dismessa dall’industria viene recepita dagli artisti e la Tipografia oggi diventa Arte. Da ragazzo quando ero tipografo la pressione dei caratteri di piombo dietro al foglio di carta non si doveva vedere: ora chi si fa fare i biglietti di visita se non c’è la pressione al tatto non è Tipografia. Smens è attualmente “sospesa”.

(G.S.) Smens ultimerà il suo programma con i due titoli: L’Amore e La Morte. Stiamo concludendo i menabò. L’impostazione sarà quella originale con cui è nata. Oggi una rivista di questo genere è fuori tempo, il computer ha cambiato radicalmente il concetto di rivista d’arte. Noi progettavamo le pagine ritagliando i testi ed incollando le xilo sulle pagine che costruivamo come un collage, una per volta, un pezzo alla volta, fino ad ottenere un effetto di pieni e vuoti esteticamente calibrato ed omogeneo. Oggi ci sono programmi di impaginazione che non lasciano più nulla al caso né all’invenzione. E poi noi ci rivolgevamo a un gusto che derivava da una storia tipografica basata sul rapporto fra il bianco e il nero, mentre le nuove generazioni sono tutte nate in mezzo a una comunicazione basata sul colore. Infine, Smens e le analoghe riviste d’arte prevedevano l’immagine statica, quando oggi la comunicazione, la stessa arte, pretende un’impostazione dinamica. Il presente, forse il futuro, se le fonti di energia lo consentiranno, si basa sul linguaggio video. 

Le tematiche scelte nelle vostre xilografie sono spesso affini: le montagne, le vigne, gli animali delle campagne, certamente delineati con stile diverso. Raramente avete applicato la xilografia alla figura, soggetto quest’ultimo complesso e affascinante per l’artista e tra i più frequentati nell’incisione figurativa del Novecento. Vi è una motivazione ‘filosofica’, di poetica, alla base di questa scelta? O solo una mancanza di interesse verso la figura umana?

Gianni Verna Non amo che le rose che non colsi G. Gozzano xilografia mm 660 x 370 - 2015
Gianni Verna Non amo che le rose che non colsi G. Gozzano xilografia mm 660 x 370 – 2015

(G.V.) Non molte ma ho inciso anche xilografie con figura ad esempio: “Non amo che le rose che non colsi” per la poesia di Guido Gozzano, xilo a due colori con la figura femminile stampata in rosa e un mazzo di rose stampate in rosso che Schialvino ha messo in copertina del catalogo della mostra tenuta al Castello Ducale di Agliè; ed è in preparazione una serie di xilografie in omaggio alla figura femminile.

(G.S.) Ho spesso inciso figure di nudo e ritratti, soggetti ambedue generalmente eseguiti su commissione e poco adatti a mostre, e per questo poco conosciuti.

I lettori delle interviste di Insula europea apprezzano quando si dia loro motivo per capire di più e meglio il lavoro di voi artisti. Ecco perché, prima di concludere, pongo ad entrambi alcune domande anche tecniche sulla rispettiva attività incisoria. Che tipo di legno usate principalmente nelle vostre incisioni, e quale è il motivo per cui lo avete scelto? Preferite il legno di testa o di filo? Con quali strumenti lo incidete e come avviene la stampa delle vostre matrici e quali inchiostri preferite?

(G.V.) I legni sono sempre scelti in base ai lavori da eseguire: ad esempio per l’intaglio di un Ex Libris l’opzione cade su un legno massello compatto: pero, melo, noce, faggio i quali mi permettono di incidere le lettere del nome del titolare e del motto. Per i grandi formati ad esempio la Batracomiomachia e Pinocchio il Bestiario, che sono tavole di trenta centimetri per due metri, sei per ogni tema, ho usato del “listellare Tanganika” di due centimetri di spessore, l’essenza del legno “nobile” non supera il mezzo millimetro ma mi permette di incidere dei particolari molto fini. Per la serie dei Gipeti e delle grandi montagne uso il: multistrato compensato fenolico pino marino brasiliano il quale è molto venato, ha molti nodi e quando l’acquisto lo cerco con le venature più consone alla xilografia che ho già inciso in mente. Tutto questo è legno di filo, il legno è tagliato verticalmente dal tronco ed uso coltellini, sgorbie e per il fenolico anche spazzole metalliche e raspe. Il legno di testa che è tagliato perpendicolare alla venatura, ho inciso pochi Ex Libris, uso molto spesso la matrice in plexiglas che incido con il bulino, questa tecnica mi permette di realizzare dei segni molto simili al legno di testa. La stampa, per fogli inferiori a centimetri settanta per cento uso il torchio Saroglia del 1927 che funziona ancora benissimo; per le matrici lunghe due metri stampo a “frottage” ed uso il “baren” che mi sono fatto con il legno di Bosso, gli inchiostri sono tipografici ed in mancanza uso quelli litografici.

GIANFRANCO SCHIALVINO Tutta quanta di porpora una vite _ saliva da l’inferïor verziere, _ e le bacchiche foglie colorite _ mesceansi con le rose”
Gianfranco Schialvino Tutta quanta di porpora una vite _ saliva da l’inferïor verziere, _ e le bacchiche foglie colorite _ mesceansi con le rose”

(G.S.) Per le matrici su legno di testa uso quasi soltanto il bosso, in tavole di 2 centimetri di spessore, fatte tagliare e lisciare al tornio, prelevate di volta in volta da una riserva di piccoli tronchi che custodisco gelosamente. Le incido con il bulino. Per quelle in legno di filo uso dei multistrati fatti appositamente realizzare con le lamelle di superficie, sempre su ambedue le facce, in essenza “nobile”, soprattutto noce e ciliegio. Questa soluzione mi permette di avere tavole indeformabili perché senza tensioni meccaniche che possano curvarle, o “imbarcarle” come si dice in gergo. Stampo con un torchio Saroglia d’anteguerra, e con un tirabozze a macinazione automatica Fag del 1952. È da questo che sono usciti tutti i fogli di Smens che sono migliaia. Possiedo anche uno Stanhope, reliquia della prima scuola di tipografia voluta da Don Bosco, ma mi serve soltanto per eseguire dimostrazioni.

 Nel vostro processo creativo quale è il ruolo del disegno? Fate dei disegni preparatori o disegnate direttamente sul legno? Preferite esprimervi in opere singole o amate e avete perseguito pure il libro d’artista che sembra accampare recentemente nuovo slancio?

(G.V.) Come insegniamo sempre nei nostri corsi (ultimi all’Accademia di Belle Arti di Napoli ed al Bisonte di Firenze) il disegno preparatorio è essenziale, disegnare direttamente sul legno è sempre un errore poiché non si ha la visione finale della stampa ed un disegno se speculare perde il suo equilibrio ottico. Anche con le xilografie del Pinocchio di due metri ho preparato con carta a rotoli, disegni su carta di due metri e mezzo, passato poi sulla matrice capovolto con carta carbone. A volte mi esprimo con opere singole e a volte illustrando un racconto o una serie di xilografie a tema. Il libro d’artista è un’operazione non chiara: ci sono libri che si sfogliano con illustrazioni e testo e libri oggetto che sono solamente da ammirare.

(G.S.) Il “libro d’artista”, così come generalmente si vede nelle mostre, è un controsenso: o è un “libro”, definizione che prevede ed esige la produzione di un determinato numero di copie, o è un “oggetto d’arte” che scimmiotta nella forma un libro e che, pur salvaguardandone tutti i valori artistici, libro in effetti non è. Piuttosto un “plaisir pour les artistes amateurs”.

E in fine, proprio al termine, la vostra collaborazione che è stata la forza che vi ha permesso di dar vita a progetti di grande rilevanza, in questi anni che voglio definire di attesa, si è mai incrinata, ovvero riuscirete ancora a prodigarvi uniti per la realizzazione di nuovi progetti e/o per la ripresa di quelli che si è voluti definire in stand by? Grazie e auguri di buon lavoro.

(G.S. e G.V.) Il sodalizio Schialvino/Verna dura da 33 anni perché abbiamo lo stesso ideale: la XILOGRAFIA. E perché quando si deve decidere un progetto, e ognuno ragiona con la propria testa, soltanto quando si raggiunge il 100% dei due voti, si va avanti con le iniziative. E infine perché sappiamo che gli obiettivi debbono sempre essere raggiunti. Agli errori si può rimediare, le sconfitte non sono previste.

Gianfranco Schialvino:  schialvino@gmail.com
Gianni Verna:   gtverna@gmail.com

L'autore

Maria Gioia Tavoni
Maria Gioia Tavoni
M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it