Diecixuno è la prima collana editoriale che si concentra sulla traduzione poetica, raccogliendo dieci rese per ogni testo scelto. Nell’ambito di Mucchi, possiamo considerare la neonata Diecixuno quasi come un eserciziario svolto di Strumenti Nuova Serie, collana di traduttologia che lei stesso dirige dal 2009. Qual è l’utilità di mettere a confronto le traduzioni poetiche, creando una sorta di edizione critica delle traduzioni?
Diecixuno nasce da un’idea che mi frullava in testa già da diversi anni. Nella tradizione editoriale italiana la collana di riferimento è stata senz’altro la serie trilingue einaudiana di Scrittori tradotti da scrittori, diretta negli anni Novanta da Valerio Magrelli. Un bellissimo esperimento, interrotto purtroppo troppo presto. Su questa strada, Diecixuno accompagnerà, senza sostituirla, la collana Strumenti Nuova Serie (che ha da poco accolto, a cura di Chiara Montini, e ne sono molto fiero, gli scritti di Nabokov sul tradurre, riuniti per la prima volta). Una collana di traduttologia, certo, ma traduttologia può voler dire molte cose… La definizione che, a mio parere, rende più di altre giustizia allo sforzo teorico dell’ultimo ventennio, è quella di Antoine Berman: la traduttologia come riflessione della traduzione su sé stessa a partire dalla sua natura di esperienza. È proprio partendo dalle esperienze/pratiche traduttive che una riflessione critica sulle traduzioni, e sulle traduzioni poetiche, può avere inizio, sottolineando il rapporto tradizione/traduzione all’interno dello spazio culturale di ricezione e delle varie comunità di lettori a cui, di volta in volta, i versi tradotti si rivolgono. In questo senso il discorso teorico italiano sul tradurre ci ha insegnato molto, da Gianfranco Folena a Emilio Mattioli, senza dimenticare studiosi e traduttori di eccellenza come Franco Buffoni e Franco Nasi, e non è un caso che Diecixuno venga alla luce dopo la fondazione della prima Società italiana di traduttologia. Questo detto, l’ambizione di Diecixuno è di toccare un lettorato più ampio: un pubblico fatto non solo di addetti ai lavori, ma di lettori curiosi, studenti liceali e universitari, appassionati di lingue e poesia. Sono convinto – in un momento in cui l’idea di cultura somiglia sempre di più a una cucina componibile Ikea, un momento in cui l’istituzione linguistica, umanistica e letteraria rimane di fatto ancorata a una immagine stantia e poco performativa di cultura – che poesia, traduzione e plurilinguismo, intesi come coesistenza democratica e produttiva di memoria culturale e innovazione, possano davvero contribuire alla formazione di un soggetto che pensa, parla e si traduce il mondo e al mondo con la consapevolezza, come avrebbe detto uno dei pochi santi per cui nutro una certa simpatia, che per ogni lingua che si parla si possiede un’anima in più: la nostra identità è fatta di tante alterità. È anche questo il senso della citazione di Borges che apre il Quaderno di traduzioni alle fine di ogni volumetto, in cui il lettore potrà, se vuole, divertirsi a sperimentare una nuova versione: “Il libro più famoso di Browning è composto da dieci rapporti dettagliati di un solo delitto, per ognuna delle persone che vi sono implicate. Tutto il contrasto deriva dai caratteri, non dai fatti, ed è quasi altrettanto intenso e abissale quanto quello di dieci traduzioni corrette di Omero”.
Trova che il testo lirico sia un buon campo d’analisi traduttologica?
La traduzione poetica è una sfida continua per le lingue-culture di ricezione e per l’analisi traduttologica. Perché la traduzione-poesia non è mai lettera morta: è il luogo della sperimentazione, dell’innovazione linguistica, in cui linguaggio e soggettività, poesia e discorso si mettono sempre in gioco. Ci sono versioni poetiche in grado di scalfire la realtà, di trasformare per sempre la relazione con la nostra tradizione letteraria e il nostro immaginario culturale. Basterebbe pensare all’Eneide del Caro o all’Iliade del Monti, ormai presenti a pieno titolo nel canone letterario italiano. Un lettore francese che non avesse dimestichezza col latino sceglierebbe probabilmente le Bucoliche virgiliane nella versione di Valéry o, se praticasse poco l’inglese, i Sonetti di Shakespeare nella versione di Bonnefoy. In questo caso un traduttologo potrebbe chiedersi: che cosa fa di un classico della traduzione un classico? O ancora, che rapporto esiste fra canone letterario e traduzione? Fra traduzione e innovazione del linguaggio e delle forme poetiche? Ma forse, soprattutto, fra un classico della traduzione e la nozione di autorialità… Quando e a che titolo, in altre parole, le traduzioni diventano opere? Sono domande complesse, che non hanno risposte uniche e normative. Domande simili, però, contribuiscono ad assegnare alle traduzioni un ruolo centrale nella formazione delle tradizioni letterarie nazionali, illuminando non soltanto i processi traduttivi, ma anche le strade e i percorsi della scrittura e dell’invenzione poetica. In questa prospettiva Diecixuno è uno strumento utilissimo che consente di ripercorrere la tradizione traduttiva di una composizione poetica nel tempo della lingua e delle forme, secondo le varie opzioni per la rima, il verso libero, il lessico, il ritmo, il metro…
Su quale criterio è impostata la selezione delle dieci traduzioni?
Ogni singolo curatore invitato a collaborare con Diecixuno è libero di selezionare le versioni poetiche che a suo parere hanno segnato la tradizione traduttiva italiana. In questo percorso è anche possibile, ma non obbligatorio, inserire due o tre versioni in altre lingue. Per il Sonetto XLIII di Shakespeare, Chiara Lombardi ha per esempio scelto la versione francese di François-Victor Hugo e quella spagnola di Ramón García González. L’ultima delle dieci traduzioni è sempre inedita, firmata dal curatore. Riuscita e sorprendente la versione in lombardo di Edoardo Zuccato per All’Autunno di Keats.
Ha valutato l’idea di un progetto para-filologico che raccolga tutte le traduzioni fatte di uno specifico testo, ricostruendone lo storico pressoché completo?
Un progetto simile, per quanto utile e interessante, non si adatterebbe allo spirito e al format della collana. Esistono però alcuni esempi. Mi viene in mente L’Égale des dieux di Saffo, pubblicato in Francia dalle edizioni Allia in 101 versioni.
Per ora, Diecixuno raccoglie le traduzioni di“Sonetto XLIII” di Shakespeare e “All’autunno” di Keats. Ha in progetto di pubblicare anche da panorami linguistici meno noti rispetto a quello anglofono?
I tempi e le circostanze hanno voluto che i primi due volumi venissero dallo spazio linguistico-culturale anglofono. Ma non ci limiteremo in alcun modo alla produzione poetica in lingua inglese. Fra i titoli in programmazione Il battello ebbro di Rimbaud, a cura di Ornella Tajani, il Lamento per Ignacio Sanchez Mejías di Federico Garcia Lorca, a cura di Francesco Fava, e l’Ode ad Afrodite di Saffo, a cura di Sotera Fornaro…
L'autore
- Maristella Petti, classe 1992, è nata e cresciuta a Bolsena. È formata in lingue (inglese, spagnolo e portoghese), letterature comparate e traduzione. È dottoranda in critica letteraria dialettica presso l'Universidade de Brasília. Tra le sue pubblicazioni, il saggio La resistenza nella poesia nera femminile brasiliana contemporanea (Sensibili alle foglie, 2018) e la traduzione dell’antologia poetica bilingue Encontros com a poesia do mundo II / Incontri con la poesia del mondo II (Editora da Imprensa Universitária, 2018).
Ultimi articoli
- conversando con...19 Marzo 2020Maristella Petti intervista Claudio Valentinetti
- In primo piano23 Settembre 2019Maristella Petti intervista Antonio Lavieri
- a proposito di...19 Giugno 2019Il viaggiatore e il Tempo. Maristella Petti dialoga con Silvio Mignano
- conversando con...28 Aprile 2019Maristella Petti intervista Nicolas Behr