Laura Garavaglia è la presidente de “La Casa della Poesia di Como” e l’ideatrice-responsabile del “Festival Europa in versi”, a cui sono collegati laboratori creativi per studenti ed eventi poetici/artistici a Como e Milano.
A cosa è dovuto il successo di questa iniziativa?
Credo anzitutto alla dimensione internazionale del Festival. Poter ascoltare poesie in una lingua diversa dalla propria, venire a contatto con mondi e culture anche molto lontani dal nostro è senza dubbio una forma di arricchimento. Oggi più che mai è necessario aprirsi al mondo, all’ “altro da sé” (argomento del festival di quest’anno), comprendere, capire emozioni, sentimenti, essere “singoli di molti”, secondo la bella definizione del poeta Giancarlo Majorino. Credo che questo sia importante per il pubblico e non solo per coloro che “abitano” il linguaggio della poesia. Al Festival si possono incontrare i poeti, dialogare con loro, stabilire contatti da cui possono nascere anche belle e durature amicizie. È già successo.
Qual è la genesi del festival?
Il “Festival Europa in versi” è nato in seno all’Associazione “La Casa della Poesia di Como”. Si voleva far conoscere ad un ampio pubblico la poesia contemporanea non solo italiana, ma anche europea. In particolare la nostra attenzione è rivolta alle nuove generazioni: a scuola per vari motivi la poesia è poco studiata e soprattutto si arriva al massimo a studiare il primo 900. Sarebbe importante invece conoscere la poesia contemporanea e non solo italiana. Dal Festival sono nate importanti e significative collaborazioni che hanno visto coinvolte anche tante scuole del nostro territorio. I laboratori creativi portati avanti da studenti e docenti che lavorano sui testi dei poeti che parteciperanno al Festival, gli stage, le alternanze scuola/lavoro durante le quali i giovani traducono i testi dei poeti…
Pensa che il “Poetry slam” sia una moda o possa avere un futuro, in modo da essere riconosciuta come nuova forma d’arte?
È un modo di proporre la poesia che riprende e attualizza la poesia nella forma dell’oralità. La poesia è nata in questa forma, ancora in Italia in certe zone si tengono tradizionali certamen (Toscana, Sardegna). Si parla in realtà di Spoken Word, poesia recitata, a volte improvvisata, come quella per esempio del campione cubano che verrà quest’anno, Alexis Diaz Pimienta. Il Poetry Slam è una gara “a colpi di versi” tra poeti slammer, ma amichevole, coinvolgente per il pubblico che può esprimere o meno il proprio consenso, un modo per stare insieme, inventato da Marc Kelly Smith a Chicago alla metà degli anni ’80, e lontano dalla poesia per soli eletti. I “Poetry Slam” si stanno moltiplicando anche qui da noi, piacciono ai giovani ma anche agli adulti, perché non creano barriere tra chi legge e chi ascolta. Io credo che, come per la poesia a cui siamo abituati, nei reading tradizionali, alla lettura solitaria, ecc. a decidere se sia forma d’arte o meno sia sempre e comunque il testo. Non conta la forma, il come la si propone, dunque, ma la sostanza. Credo che in futuro questo modo di proporre la poesia avrà maggiori sviluppi.
Qual è il contributo dei ragazzi a questo percorso creativo?
Per il Festival il contributo degli studenti è fondamentale. Il testimone della poesia deve essere passato ai giovani. E sono bravissimi: ogni anno mi stupisco e mi commuovo nel vedere con quanta sensibilità sanno leggere e approfondire i testi, con quanta creatività sanno interpretarli e declinarli in varie forme d’arte, musica, danza, pittura, video, fotografia…La poesia è un linguaggio che arriva subito al loro animo, perché ancora non è soffocato dalla polvere della sfiducia e della rassegnazione. Ed ha una valenza altamente educativa, perché li aiuta a comprendere i propri sentimenti e quindi quelli degli altri, a creare empatia, ad evitare fenomeni quali il bullismo, l’isolamento, e così via.
Quali possono essere gli eventuali sviluppi creativi per una prossima edizione del festival?
Mi piacerebbe creare un legame tra poeti e artisti, che in parte abbiamo già realizzato con l’Accademia Aldo Galli. Sarebbe molto bello che, per esempio, durante le letture un artista dipingesse ispirato dai versi, o improvvisasse delle musiche, o accompagnasse la recitazione con la danza. Poi vorrei ampliare i laboratori di traduzione di poesie con i ragazzi. Entrare nella dimensione di un’altra lingua con un testo poetico è un modo di migliorare la propria conoscenza di quella lingua e soprattutto affinare la propria sensibilità e creatività.
L'autore
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Nata a Varese nel 1966, ha vissuto e studiato a Como, Milano e Barcellona laureandosi in lingua e letteratura spagnola con una tesi sperimentale in letteratura spagnola e storia dell'arte. Negli anni '90 ha insegnato italiano a Barcellona e poi ha collaborato con numerose associazioni culturali e artistiche sia in Italia che in Spagna, facendo parte dell'organizzazione tecnico-artistica di festival come ad esempio il Festival Mozart, la Stagione Lirica dello Sferisterio di Macerata, il Canto delle Pietre, Grec 93. Dopo un periodo dedicato ad attività inerenti alle relazioni pubbliche e all'interpretariato, dal 2003 è docente di lingua e letteratura spagnola in un liceo linguistico di Como e collabora con alcune scuole, università e centri culturali italiani e spagnoli nella realizzazione di progetti legati principalmente alla musica e alla parola.