Il prossimo 14 febbraio, nella sala di lettura della Biblioteca nazionale di Berna, verranno assegnati i riconoscimenti ai vincitori del Premio svizzero di letteratura 2019. Istituito nel 2012, il Premio viene attribuito a opere di ogni genere letterario scritte in una delle quattro lingue della Confederazione (tedesco, francese, italiano e romancio) da autori e autrici con cittadinanza o residenza in Svizzera.
Ogni anno, agli scrittori laureati (sette per ciascuna edizione, a partire dal 2016) si aggiunge il vincitore del Gran Premio, assegnato come riconoscimento alla carriera di un autore di più lungo corso: tra gli italofoni, lo hanno ricevuto di recente Alberto Nessi e Anna Felder. L’intento è favorire lo scambio e la reciproca conoscenza tra le voci delle diverse letterature e lingue della Svizzera; anche per questo, i vincitori partecipano a un’intensa tournée di letture plurilingue attraverso i Cantoni, che coinvolge biblioteche, librerie, sedi di associazioni culturali e università. Quest’anno i premi sono andati a due autori italofoni (Anna Ruchat, nota e apprezzata anche come traduttrice dal tedesco, e Alexandre Hmine, docente di lettere al Liceo cantonale 1 di Lugano), due francofoni (Elisa Shua Dusapin e José-Flore Tappy) e tre germanofoni (Patrick Savolainen, Christina Viragh e Julia von Lucadou).
Il Gran Premio è stato vinto da Zsuzsanna Gahse, che ha debuttato nel 1983 con il romanzo Zero, in tedesco, ed è autrice finora di una quarantina di libri. Ad anni alterni vengono inoltre assegnati il Premio speciale di traduzione e il Premio speciale di mediazione; quest’anno toccava alla traduzione e a ricevere il Premio sono stati il Centre de traduction littéraire (CTL) dell’Università di Losanna e la Casa dei traduttori Looren.
‘Mediazione’ e soprattutto ‘traduzione’ sono del resto parole-chiave e obiettivi cruciali della manifestazione, che esprime in questo una delle principali caratteristiche ed esigenze della cultura e dell’intera società della Svizzera. Basta esaminare i profili degli autori premiati quest’anno: Ruchat è nata a Zurigo e vive tra Pavia e il Ticino; Hmine, nato e cresciuto in Ticino, ha origini nordafricane; Dusapin, di padre francese e madre coreana, è cresciuta tra Parigi, Seul e il Cantone Jura; Savolainen è nato a Malaga e vive tra la Svizzera e il Nord Europa; Viragh e Gahse sono nate entrambe a Budapest, mentre von Lucadou, originaria di Heidelberg, si divide tra Svizzera, Germania e Stati Uniti. Una simile varietà non è appannaggio della categoria intellettuale ma rispecchia abbastanza fedelmente la composizione sociale della Svizzera, nella quale molti cittadini hanno il doppio passaporto (o sono comunque originari di altri Paesi europei, a cominciare dall’Italia, ed extraeuropei) e la popolazione straniera residente raggiunge circa il 25% del totale, secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica aggiornati al 2017.
La traduzione e, ancora prima, l’intercomprensione sono quindi essenziali in un Paese multilingue, esposto peraltro all’influenza crescente dell’inglese e alla conseguente tentazione di rimuovere le differenze adottando quella lingua passe-partout in sedi pubbliche e contesti scientifici. Il Premio svizzero, pur non alimentando alcuna tendenza al protezionismo linguistico, incoraggia la via dell’intercomprensione, cercando di costruire dei ponti anziché isolare dei blocchi. È lo spirito con cui si svolgono anche i lavori della commissione, di nomina federale, incaricata di scegliere i vincitori. Ne fanno parte giornalisti e responsabili di rubriche culturali, direttori di riviste e organizzatori di festival letterari, docenti di letteratura nelle scuole e nelle università. Ciascuno degli otto giurati parla e si confronta con gli altri nella propria lingua (ma deve essere capace di esprimersi in almeno in un’altra delle lingue federali). Invece di ostacolare il dialogo, questa varietà lo favorisce, perché invita alla concentrazione e al confronto con le ragioni degli altri. In un contesto completamente (e direi strutturalmente) libero da influenze e pressioni, i libri da premiare vengono così scelti in base a criteri come la qualità della scrittura, l’attualità dei temi, l’originalità del loro trattamento e la possibilità di raggiungere il pubblico. Quest’anno le candidature sono state circa duecento, distribuite fra le tre lingue principali in una percentuale che riflette più o meno quella dei rispettivi parlanti nella Confederazione. Nel corso di varie riunioni a Berna, si procede a una prima scelta e poi alla selezione di una rosa ristretta di titoli, discussi con responsabilità e passione, durante una riunione finale che si prolunga per due giorni.
È il migliore dei mondi letterari possibili? Probabilmente no, ma ci si avvicina. Come molte espressioni della cultura e della società svizzera, il Premio è frutto di un utopismo pragmatico che colpisce e affascina un italiano, abituato al conflitto più che all’alleanza tra pragmatismo e utopia. Quel che forse ancora manca al Premio, o che va incrementato, è la capacità di promuovere la conoscenza degli autori fuori dai confini nazionali, e in certi casi fuori dai confini delle diverse aree linguistiche. Tra i vincitori di lingua francese e tedesca non sono molti quelli tradotti in italiano; questo forse anche perché, in Italia, la letteratura svizzera spesso non è percepita come tale, e i pochi singoli grandi autori vengono senz’altro assimilati alle letterature francese o tedesca. Non che gli autori svizzeri non appartengano anche alle tradizioni letterarie nelle rispettive lingue, ma una totale assimilazione all’una o all’altra può impedire di riconoscere la vitalità e la coerenza molteplice del panorama letterario elvetico. Di riflesso, questo può indurre gli autori svizzeri a scrivere come se non lo fossero, portandoli – nei casi peggiori – a imitare modelli standard. L’attenzione che il Premio riserva alla traduzione può servire anche a limitare questo rischio, contribuendo a diffondere e rendere riconoscibile la letteratura svizzera nelle sue diverse espressioni.
L'autore
- Niccolò Scaffai ha insegnato Letteratura italiana contemporanea all’Università di Losanna ed è attualmente docente di Critica letteraria e letterature comparate all’Università di Siena, dove dirige il Centro Interdipartimentale di Ricerca Franco Fortini in «Storia della tradizione culturale del Novecento». Si è occupato in prevalenza di letteratura del Novecento (tra i suoi libri recenti: Il lavoro del poeta, Roma, Carocci 2015; il commento a La Bufera e altro di Montale, con I. Campeggiani, Milano Mondadori 2019; Montale, con P. Marini, Roma, Carocci, 2019) e di questioni di stilistica, teoria della letteratura e comparatistica. In quest’ambito, ha dedicato ricerche e pubblicazioni all’ecologia letteraria, tra cui il volume Letteratura e ecologia. Forme e temi di una relazione narrativa (Roma, Carocci 2017) e Ecopetry. Poesia del degrado ambientale (numero monografico 58-59/2018 della rivista «Semicerchio»). Fa parte del direttivo di «Between» e di altre riviste scientifiche. Scrive per «Alias», «doppiozero», «Le parole e le cose2».
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