Peter Paul Rubens torna a Tokyo dal 16 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019 con la mostra Rubens and the Birth of the Baroque, che si tiene presso il National Museum of Western Art di Tokyo (NMWA). La mostra comprende 70 opere delle quali ben 43 firmate o in vario modo attribuibili a Rubens, e, pur non ufficialmente, è una prosecuzione della rassegna Pietro Paolo Rubens e la nascita del Barocco, che si era tenuta a Milano presso il Palazzo Reale due anni fa (catalogo Marsilio). Dalla mostra milanese quella di Tokyo eredita il prestigioso comitato scientifico internazionale, composto da Eloisa Dodero, David Jaffé, Johann Kraeftner, Anna Lo Bianco, Cecilia Paolini e Alejandro Vergara, ai quali per l’occasione si aggiunge Asuka Nakada e, in qualità di co-curatore assieme ad Anna Lo Bianco, Shinsuke Watanabe.
Rubens (Siegen 1577 – Anversa 1640), pittore e diplomatico fiammingo, spese gran parte della vita ad Anversa, ed ebbe un ruolo fondamentale nella definizione della cultura figurativa fiamminga e del nord Europa cattolico. Da giovane fu avviato agli studi umanistici presso la scuola di Rumulus Verdonk, e fu apprendista presso i pittori fiamminghi Tobias Verhaecht, Adam van Noort e poi presso il romanista Otto van Veen. L’educazione sociale e letteraria, assieme al suo temperamento gioviale, furono fondamentali da una parte per il successo della carriera diplomatica, dall’altra, di riflesso, per assicurare al Rubens pittore e al suo atelier commissioni prestigiosissime e il consolidamento della posizione dominante a livello culturale europeo. Non a caso fra i pittori cresciuti nell’ambito rubensiano si annoverano grandissimi maestri come Jacob Jordaens o Antoon van Dick. Proprio a questo prolificissimo atelier di pittori creato ad Anversa dopo il ritorno dall’Italia era stata dedicata in Giappone la mostra Rubens – Inspired by Italy and Established in Antwerp, che a Tokyo si era tenuta presso il complesso di Bunkamura di Shibuya (9 marzo – 21 aprile 2013). Uno dei punti forti dell’evento di Bunkamura era la splendida sezione dedicata alle stampe ricavate dai suoi disegni presso l’Officina Plantiniana.
Ma indubbiamente le caratteristiche più riconoscibili dell’arte di Rubens derivarono dal periodo italiano (1600 – 1608): fu in Italia che Rubens assorbì quelle lezioni di stile e cultura figurativa che connotarono in senso classico e intellettualistico la sua arte, allo stesso tempo rispondendo ai dettami controriformistici che prescrivevano rappresentazioni enfatiche e teatrali. Per questo i curatori della mostra in corso presso il NMWA, riprendendo uno spunto dello storico dell’arte Bernard Berenson, definiscono Rubens ‘pittore italiano’, scegliendo di focalizzare l’attenzione sugli anni italiani, che segnarono per sempre la vita del pittore di Anversa e divennero per lui oggetto di nostalgico ricordo fino alla morte. È possibile scaricare un elenco completo delle opere in mostra dal seguente link: https://www.nmwa.go.jp/jp/exhibitions/pdf/2018rubens_list.pdf
La disposizione delle opere in sette sezioni segue criteri tematici, piuttosto che cronologici: I. The Tradition of the Past (catt. 1-19, pp. 48-75), II. Saints as Heroes: Sacred Painting and the Baroque (catt. 20-33, pp. 76-109), III. Rubens Personal World (catt. 34-40, pp. 110-125), IV. A Furious Brush (catt. 41-49, pp. 125-147), V. The Power of Myth 1: Hercules and the Male Nude (catt. 50-55, pp.148-159), VI. The Power of Myth 2: Venus and the Female Nude (catt. 56-61, pp. 162-175), VII. Allegory and Allegorical Narration (catt. 62-70, pp. 176-199).
Mancano alcuni dei capolavori presenti in Palazzo Reale, come fra gli altri Ganimede e l’aquila (1611-1612), il Ritratto di Giovanni Carlo Doria a cavallo (1606), e il Saturno che divora i suoi figli (1636-1638). Ma le assenze sono compensate dall’aggiunta di nuove opere, come il Cristo trionfante sul Peccato e sulla Morte del Liechenstein Museum di Vienna (1615-22, cat. 26), il Martirio di sant’Andrea della Fundación Carlos de Amberes di Madrid (1638-1639, cat. 33), il Ritratto di Giulio Pallavicini (1604, cat. 40), e molte altre, tanto che la metà delle opere di Rubens presenti a Tokyo non era a Milano e viceversa. I cataloghi delle due mostre, avendo un’impostazione tematica molto simile, finiscono così per integrarsi, con profitto di chi volesse approfondire i numerosi argomenti affrontati nelle schede.
Della mostra milanese sono riproposti capolavori come Le figlie di Cecrope scoprono Erittonio infante del Liechenstein Museum (1615-1616, cat. 65), e, fra i ritratti, il Ritratto di Gaspar Scioppius della Galleria Palatina di Firenze (c. 1606, cat. 39), l’Autoritratto degli Uffizi (probabilmente copia dipinta post 1623, cat. 34), e soprattutto il dipinto più apprezzato dal pubblico nipponico, ovvero il meraviglioso Ritratto della figlia Clara Serena Rubens (1615-1616, cat. 35), utilizzato anche nei poster pubblicitari della rassegna.
Nel ritratto della bimba, nata nel 1611 e morta a soli dodici anni, spicca, in contrasto con lo sfondo e il vestito appena accennati, la vividezza degli occhi, delle labbra e delle guancette rosse: si capisce perché, assai più che ad altre opere, è proprio di fronte alla dolcissima Clara Serena che si formano file di ammiratori. Bello peraltro l’affiancamento del n. 36, Due bambini addormentati, di proprietà del NMWA e non esposto a Milano.
Lo scopo complessivo dell’allestimento è, dunque, quello di dimostrare le caratteristiche profondamente italiane dell’arte di Rubens, nonché l’impatto della ricerca del fiammingo nei confronti degli artisti contemporanei, e quindi nella definizione della cultura visiva barocca italiana e nordeuropea. Ma avendo Rubens viaggiato molto (dal Veneto, a Mantova, a Firenze, a Roma), e studiato tutte le diverse scuole artistiche del Rinascimento italiano, nonché la statuaria greco-romana, alla quale dedicò il trattato De imitatione statuarum, è evidente che nessun allestimento potrebbe proporre tutta la rete di confronti necessaria per definire adeguatamente le ‘radici italiane’ di Rubens. E infatti la mostra di Tokyo (così come quella di Milano) dà risalto soprattutto alle derivazioni dall’antico, con esempi, a volte formidabili, di come Rubens riesca a tradurre le suggestioni tematiche o plastiche dei marmi antichi in potenti rappresentazioni a olio.
In questo senso non stupisce che i primi esempi siano gli studi del Laocoonte e i suoi figli di provenienza ambrosiana (1601-1602, cat. 1), a fianco di un marmoreo Busto di Laocoonte di Gian Lorenzo Bernini dalla Galleria Spada di Milano (1616-1617, cat. 2). A partire dal Cinquecento il Laocoonte fu infatti ‘scuola del mondo’ per lo studio del corpo virile e delle dinamiche del movimento (dal contrappasso classico alla linea serpentina delle torsioni manieriste): con intelligente programmazione, nell’ambito della mostra del NMWA immediatamente precedente a quella di Rubens e intitolata Michelangelo and the Ideal Body, un’intera sala era stata dedicata alle imitazioni dal Laocoonte, con la presenza del gruppo marmoreo di Vincenzo dei Rossi scolpito nel 1584 come versione originale del gruppo ellenistico. Qui però interessa anche rilevare una possibile connessione fra Bernini e Rubens, che nel corso del catalogo è proposta nel senso di un’influenza diretta del pittore fiammingo sull’artista italiano.
A meglio illustrare le modalità di assorbimento del’arte antica da parte di Rubens contribuisce il confronto fra una base marmorea di candelabro del II secolo proveniente dagli Uffizi (cat. 68) e due diverse versioni di Marte e Rea Silvia, ovvero una grande tela del 1616-1617 del Liechenstein Museum (cat. 66) e una tela più piccola, sempre del 1616-1617, del Liechenstein Museum (cat. 67). La proposta di Eloisa Dodero, che ha curato le schede relative alle opere antiche, è di individuare nella base di candelabro, la cui forma peraltro è citata in modo esplicito nei dipinti, l’origine del putto che tiene uniti i due amanti. Nella mostra di Palazzo Reale era presente anche il Sarcofago di Medea del Museo Archeologico Nazionale di Ancona, messo in relazione alla raffigurazione di Marte.
Un bell’esempio di rielaborazione di immagini classiche e reinterpretazione in chiave controriformata è offerto dalla Morte di Seneca del Prado di Madrid (1615-1616, cat. 3), a confronto con l’Erma dello Pseudo-Seneca dei Musei Capitolini di Roma (cat. 4). Se Rubens riproducendo le fattezze dello Pseudo-Seneca riteneva forse di compiere un’operazione a suo modo filologica, la sottolineatura di dettagli quali il taglio delle vene del filosofo da parte del personaggio a sinistra implica la lettura della morte di Seneca non come un suicidio, ma come una vera e propria esecuzione. Questa interpretazione, che rimanda all’ambito dell’umanista Justus Lipsius (1547-1606), mentore di Peter Paul Rubens e di suo fratello Philip, avvicina la morte di Seneca al martirio cristiano, e l’immersione in acqua in punto di morte richiama il fonte battesimale.
Interessanti anche le medaglie di epoca ellenistica e romana (catt. 8-10, tutte provenienti dal NMWA) messe a fianco del bellissimo il profilo di Agrippina e Germanico della National Gallery of Art di Washinghton (c. 1614, cat. 7), e di un disegno a inchiostro della Gemma Tiberiana del Museum Plantin-Moretus di Anversa (1622, cat. 5).
Nella seconda sezione il marmoreo Busto femminile della prima metà del II secolo, proveniente dai Musei Capitolini di Roma (cat. 21), è affiancato al Busto di santa Domitilla della Fondazione Accademia Carrara di Bergamo (1607, cat. 20), mentre viene riproposto il confronto fra un calco in gesso del Torso del Belvedere e i corpi virili dipinti da Rubens e dai pittori del tempo, ad es. nel San Sebastiano guarito dagli Angeli del Palazzo Corsini di Roma (c. 1601-1603, n. 28), e nello splendido San Sebastiano guarito da santa Irene di Simon Vouet della collezione Gianluigi Condorelli (c. 1622, cat. 29).
Nella quinta sezione, dedicata alla rappresentazione di Ercole e del corpo umano, il modello proposto appare essere la Testa colossale di Ercole dei Musei Capitolini (II sec., cat. 53), a confronto con un Ercole lotta con il dragone nel giardino delle Esperidi, dipinto da Rubens in collaborazione con Frans Snyders (Prado, 1635-1640, cat. 52) e l’Ercole nel giardino delle Esperidi della Galleria Sabauda di Torino (1638, cat. 55).
Seguono pittori italiani forse in debito con Rubens, come il Guido Reni dell’Ercole vincitore dell’Idra della Galleria Palatina di Firenze (c. 1620, cat. 50), e il Pietro da Cortona de La punizione di Ercole del Liechenstein Museum (c. 1635, cat. 51).
Nella sesta sezione i modelli antichi proposti per le posizioni dei corpi femminili sono lo Spinario degli Uffizi (I secolo o copia del XVI secolo, cat. 58), e la Venere accovacciata e Cupido del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (II sec. inc., cat. 60). Da questi Rubens trasse ispirazione per la sua Venere si toglie la spina dal piede del Fisher Museum of Art di Los Angeles (1608-1610, cat. 56, non in mostra a Milano), e per le sue numerose varianti di Susanna e i Vecchioni, delle quali sono esposte due versioni: una proveniente dalla Galleria Borghese di Roma (1606-1607, cat. 57), e l’altra dall’Hermitage di San Pietroburgo (1611 o ante, cat. 59). Nella mostra di Palazzo Reale era presente anche un’ulteriore variante sul tema, dipinta nel 1618 e di proprietà della Galleria Sabauda di Torino. L’interesse per le disavventure di Susanna deriva, certo, dal successo delle soluzioni plastiche adottate da Rubens per dipingere la torsione del busto della donna nuda, ma anche da quelle stesse nudità, che l’argomento sacro dava l’opportunità di rappresentare.
L’interesse per il nudo femminile si nota anche nei quadri dell’ultima sezione, che espone dipinti a soggetto sacro e mitologico nei quali i nudi la nudità si connette a significati di opulenza ed erotismo. Oltre alla Carità romana (Cimone e Pero) dell’Hermitage (1610-1612, cat. 62), è notevole l’ Abbondanza dello stesso NMWA (c. 1630, cat. 63), e Venere, Marte e Cupido (c. 1630-1635, cat. 64) del Dulwich Picture Gallery di Londra. In questo senso, mi permetto di fare un piccolo appunto sul pannello esplicativo del dipinto Venere si toglie la spina dal piede, che attribuisce a Rubens un intento ‘realista’ nella rappresentazione delle forme giunoniche caratteristiche delle sue donne. Nel Seicento europeo era in realtà piuttosto comune incontrare persone povere, magre, affamate e magari e con il corpo rovinato dalle malattie. L’eccesso di adipe quindi indicava, a differenza di quanto non accada oggi negli Stati Uniti (da dove proviene il dipinto in questione), uno status sociale elevato: le abbondanti forme ‘rubensiane’ intendevano prima di tutto simboleggiare fertilità e opulenza.
La sezione A Furious Brush mette ben in evidenza il movimento e la potenza delle composizioni e soprattutto della pennellata di Rubens, con opere come La Conversione di Saul, del Liechenstein Museum (1601-1602, cat. 41), Il martirio di sant’Orsola del Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova (c. 1605, cat. 42), e La caduta di Fetonte, della National Gallery of Art di Washington (cat. 43, c. 1604-1605 e 1606-1608; non presente a Milano).
Gli aspetti più teatrali e controriformistici della cultura pittorica di Rubens sono più evidenti nelle espressioni di assoluto abbandono dei santi raffigurati in estasi, come la Maria Maddalena in estasi del Palais des Beaux-Arts di Lille (1625-1628, cat. 31).
Molto meno chiarito, a mio avviso, risulta il rapporto con i maestri italiani del Rinascimento, e in particolare con quelli veneti. Sono esposti alcuni studi o imitazioni che Rubens trae da Michelangelo, Raffaello, Tiziano e Francesco Primaticcio: si tratta di disegni provenienti dalla Scottish National Gallery di Edimburgo che non erano esposti a Milano. Fra questi è notevole lo studio in carboncino dalla Madonna Medici di Michelangelo Buonarroti (1600 o 1603, cat. 14). Di Tiziano è invece presente una Salome con la testa di san Giovanni Battista del NMWA (1560-1570, cat. 19), dal quale Rubens derivò una Erodiade con testa di san Giovanni Battista, non in mostra. La Ragazza con la pelliccia del Queensland Art Gallery di Brisbane (c. 1629-1630, cat. 18), è copia del Tiziano del Kunsthistorisches Museum, non in mostra. È poi proposto un paragone fra il Cristo bambino e san Giovannino della Banca Finnat di Roma (1625-1628, cat. 37) e lo Jacopo Tintoretto del Ritratto di giovane come David del NMWA (c. 1555-1560, cat. 38), per evidenziare le somiglianze nell’uso del colore e della pennellata. Malgrado l’evidenza del debito di Rubens nei confronti della pittura veneta, e di Tiziano in particolare, la questione è limitata a questi soli esempi, risultando quindi più accennata che adeguatamente illustrata.
Infine, l’influenza di Rubens su pittori contemporanei è esemplificata mediante il confronto fra l’Ercole e il Leone Nemeo (post 1639, coll. privata, cat. 46), la tela Sansone strangola il leone attribuita a Gian Lorenzo Bernini (c. 1631, coll. privata, cat. 47), il Sansone e il leone di Giovanni Lanfranco, della Pinacoteca Nazionale di Bologna (c. 1633-1638, cat. 48), e il Davide e Golia di Pietro da Cortona dei Musei Vaticani (1629-1630, cat. 49), quest’ultimo assente dalla mostra di Milano, e quindi ottima integrazione del catalogo milanese. Dipinti che per vari motivi non nascondono la derivazione da Rubens sono quelli di Jacob Jordaens (attr.), La fuga di Lot e della sua famiglia da Sodoma del NMWA (1618-1820, cat. 69), e l’Allegoria di Europa di Luca Giordano del Palazzo Reale di Caserta (1695-1699, cat. 70).
Nel complesso, l’ambizione di dimostrare con prove visive e materiali alcuni degli elementi della cultura italiana che sono alla base del barocco di Rubens è pienamente riuscita. Certo, come sopra accennato, alcuni dei debiti contratti dal pittore di Anversa emergono meglio di altri: il Rubens ‘romano’, e anzi ‘romanista’, molto più del Rubens ‘veneto’, pur essendoci, in questo senso, maggiore attenzione rispetto alla mostra di Palazzo Reale.
A proposito della formazione di Rubens, poi, le schede del catalogo a cura di Asuka Nakada (es. cat. 69, a proposito di Jordaens, o cat. 26, a proposito della Resurrezione di Cristo del Liechtenstein Museum), e soprattutto l’articolo dello stesso Nakada che chiude il catalogo, sottolineano come alcuni elementi fortemente distintivi dell’arte di Rubens, in primis l’uso del trittico dopo il ritorno ad Anversa, ma anche citazioni da pittori come Luca di Leida, o personali reinterpretazioni del Weltlandschaft, ovvero il paesaggio-mondo tipico della pittura fiamminga, derivino dal retroterra culturale nordico più che da quello italiano (ad es. nella raffigurazione dell’Estate che si conserva nel Castello di Windsor del 1618, o nel Paesaggio autunnale della National Gallery di Londra del 1636). L’analisi di Nakada è molto stimolante, ma certo sarebbe stato più interessante vederla sviluppata in mostra con opere fiamminghe che potessero in qualche modo integrare o fare da controcanto ai modelli italiani proposti.
A proposito della mostra di Palazzo Reale Lucia Simonato rimarcava (in «The Burlington Magazine», 159, marzo 2017, pp. 234-235), che, a differenza di quanto non appaia da alcuni confronti proposti con artisti barocchi come Pietro da Cortona o Bernini, nell’ambiente romano il pittore fiammingo non era necessariamente ammirato da tutti. Risulta difficile, quindi, attribuire con sicurezza a Rubens la paternità dello stile pittorico italiano degli anni Trenta del Seicento, visto che molti pittori stavano già elaborando in modo autonomo quegli aspetti stilistici diffusi da Rubens (né, d’altronde, il rapporto con artisti come Bernini può essere considerato a senso unico).
Ma a mio avviso le riflessioni di Nakada e Simonato, più che critiche vere e proprie agli allestimenti di Milano e Tokyo, sono da intendersi come spunti per ulteriori confronti e approfondimenti. La mostra del NMWA offre infatti la possibilità di ammirare opere splendide, organizzate in un percorso coerente e razionale. Per i visitatori italiani, in particolare, la mostra vale a ricordare che Rubens fu uno straordinario traslatore dell’italianità artistica e umanistica in tutta l’Europa barocca, ovvero il corifeo del gusto italiano nell’Europa proto-moderna.
Il catalogo (Rubens and the Birth of the Baroque / ルーベンス展 − バロックの誕生 , 16 October 2018 – 20 January 2019, The National Museum of Western Art, Tokyo, a cura di Anna Lo Bianco – Shinsuke Watanabe, Tokyo, TBS Television, 2018, pp. 296, in bianco e nero e colori) contiene saggi in versione sia inglese che giapponese di Anna Lo Bianco, Rubens and the Birth of the Baroque, pp. 12-23 e 242-251; Shinsuke Watanabe, Rubens and the Light of Italy: On the rendering of Space and Light in the Church of Santa Maria in Vallicella (Chiesa Nuova) Altarpiece (in giapponese “サンタ・マリア・イン・ヴァリチェッラ聖堂 (キエーザ・ヌオーヴァ) 祭壇画における空間と光の描写について”), pp. 24-30 e 252-257; Cecilia Paolini, The Gentleman of Antwerp: A Life of Art and Diplomacy, pp. 31-39 e 258-265; Alejandro Vergara, Rubens’ Idealism: Visions of the Absolute, pp. 202-208 e 265-270; David Jaffé, Rubens and Italy, pp. 209-213 e 271-273, Eloisa Dodero, Rubens and the Dialogue with the Antique, pp. 214-223 e 274-280; Asuka Nakada, Rubens and Northern Europe: Another Source of His Art (in giapponese “ルーベンスと北方-もうひとつの源泉”), pp. 224-229 e 281-285. Con l’eccezione dei due studiosi giapponesi, i saggi dei curatori europei erano già tutti presenti in lingua italiana nel catalogo della mostra milanese. Le schede delle 70 opere sono invece solamente in lingua giapponese (pp. 41-200): quelle delle opere non esposte a Milano sono firmate da Anna Lo Bianco, Asuka Nakada, Cecilia Paolini, Gudrun Swoboda, Natalia Gritsaj, Shinsuke Watanabe, mentre le schede delle opere già nel catalogo milanese non sono firmate, e sono presentate in una versione spesso drasticamente ridotta rispetto all’originale italiano.
Rubens and the Birth of the Baroque / ルーベンス展 − バロックの誕生 , 16 October 2018 – 20 January 2019, The National Museum of Western Art, Tokyo, a cura di Anna Lo Bianco – Shinsuke Watanabe, Tokyo, TBS Television, 2018.
Organized by: The National Museum of Western Art, TBS, The Asahi Shimbun.
With the support of: Embassy of Belgium, Embassy of Italy in Tokyo, VISITFLANDERS, BS-TBS, TBS RADIO
With the special sponsorship of: Daiwa Securities Group
Link al sito della mostra: https://www.nmwa.go.jp/en/exhibitions/2018rubens.html
L'autore
- Lorenzo Amato è professore di Letteratura italiana presso l'Università di Tokyo
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