Nel 2015 Genaro da Silva (Mourente, Pontevedra, 1980) collabora con l’artista plastica Carolina Munáiz in un progetto che coniuga la poesia e la pittura in uno sguardo “storto” – Esguello (Fundación Cuña – Casas Bella e dal Fabulario Novo – Hipofanías), riprendendo il titolo del libro pubblicato – sul mondo. Così, Genaro da Silva prova a materializzare la forza magmatica e concettuale dei dipinti dell’artista galega:
un continente a desgarrarse no vermello
a forma preténdese na súa inversión:
o que queda por dicir
non se acopla ao dito
[…]
a caída do magma na fronteira de sangue
océano destrúe vórtice e desgarra
devora o que di o non dito
devora a silueta o seu contido
un continente da squarciare nel rosso
la forma si intende nel suo rovescio:
ciò che resta da dire
non aderisce al detto
[…]
la discesa del magma nella frontiera del sangue
oceano distrugge vortice e squarcia
divora ciò che dice il non detto
divora il profilo il suo contenuto
E in questa dialettica tra detto e non detto si fa strada uno sguardo desiderante che mentre desidera e reifica l’oggetto, costruisce il suo ambiente, ne svela la fascinazione, i suoi limiti e i contorni, andando oltre il soggetto e la visione lacaniana dell’inconscio:
Onde todo nace, na orixe do mundo, na semente, escarvamos. Procuramos a substancia que precede ao desexo. O material que constrúe os nosos medos. O tecido que nos visten as pantasmas. Procuramos un estado anterior a nós mesmos.
Dove tutto nasce, nell’origine del mondo, nel seme, scaviamo. Cerchiamo la sostanza che precede il desiderio. Il materiale che costruisce le nostre paure. Il tessuto che ci infilano i fantasmi. Cerchiamo uno stato precedente a noi stessi.
In questa ricerca collettiva, invece, il testo poetico e le immagini pittoriche si concatenano – nei termini di Deleuze – per territorializzare e deterritorializzare le tensioni che emergono con esse. Questo spazio striato è il campo dove Genaro da Silva coltiva la sua Flor negra (Chan da pólvora, 2018), che è anche il titolo della sua ultima raccolta di poesie. L’idea di teatro-mondo è ancora più presente in questo libro, diviso in nove atti quadripartiti rispettivamente in Proscenio, Sombra (ombra), Coxia (retropalco) e Desexo (desiderio). Il poeta mette in scena la sua ricerca che ha come punto di partenza l’empirismo della percezione rispetto al dire, come svela l’epigrafe del poeta portoghese Ruy Belo: “Năo costumo por norma dizer o que sinto / mas aproveitar o que sinto para dizer alguma coisa”.
La speculazione tra il sentire e il dire ritorna anche in questo libro e ritorna come esperienza collettiva, “l’altro è un fiore nero / io sono — dimmi — un fiore nero. // Sogno / un fiore nero lucciola / di carne di abisso” (11), che ricorda tanto certi versi apocalittici di Paul Celan. Quindi l’oggetto del desiderio si fa soggetto e condivisione: “rivelare l’ombra / rivelare la fragilità dell’ombra / la fragilità di «noi» […] fidarsi dell’altro / essere la luce / che divora l’ombra” (13). È un gioco prospettico di sogni e ombre, dove alla conoscenza viscerale di se stessi – fino a scavare nel “dolore, disprezzo, abisso” (49) – corrisponde la conoscenza universale dell’altro da sé.
SOMBRA
procuramos
no exterior xustificar
a travesía
no que non nos pertence
na invención do outro
:
subsistir a través de ti
mais non bebes a miña sede (47)
OMBRA
cerchiamo
all’esterno di giustificare
la traversata
in ciò che non ci appartiene
nell’invenzione dell’altro
:
sopravvivere attraverso di te
ma non bevi la mia sete
L’universalità dei simboli – “miraggio o salvezza” (14) – disseminati lungo tutto il testo rimandano a una chiara matrice epistemologica che fa dell’intuizione delle immagini e della loro ricostruzione un modo per fendere la realtà e oltrepassarla con l’incanto del sogno e la coscienza del disinganno dell’esperienza diretta. Il tragitto è quello che va dal fiore blu dell’Henrich von Oferdingen di Novalis al fiore nero di Algabal di Stefan George, dalla fiducia nella poesia e nell’amore come percorso esemplare verso il bene alla consapevolezza della crisi del ruolo del poeta nella società e “delle contraddizioni [presenti] tra vita e arte separata dalla vita” (Santagostini 1996: 30). Tuttavia, ben più presente sembra il contributo filosofico di Félix Duque (2009: 164-165), che partendo da questi presupposti, “che la cosa, per essere ciò che viene da sé, esige una parola spezzata; e la poesia è questa rottura della parola”, esalta il ruolo pubblico dell’artista, in generale, e del poeta, nel caso concreto, in quanto colui/colei che mostra la rottura della parola e dell’immagine, laddove la flor negra de la técnica serve a svelare “come attraverso l’immagine appare, traspare ciò che solo con la sua apparizione rende l’uomo consapevole della propria mortalità”.
Come afferma il poeta galego: “Bene, se l’immagine è confusa, la spiegherò” (36). La raccolta Flor negra è poesia filosoficamente densa, ma resa accessibile nei frammenti d’immagini che si stagliano e che tendono a lasciare intravedere altro nell’intuizione del simbolo. In questo senso, il gioco prismatico e ripetitivo della poesia di Juan-Eduardo Cirlot, citato nel colophon del libro, della sua visione analitica della scomposizione e risignificazione dei simboli, la loro osservazione come “concomitanze di una modalità cosmica essenziale” (Cirlot 1992: 35) si ritrovano nella poesia di Genaro da Silva: è sostanza e aggettivo in quanto accumulazione.
A flor negra que coma un cancro me devora
que agroma flor e negra como agroma o desexo (56)
Il fiore nero che come un cancro mi divora
che germina fiore e nero come germina il desiderio
Il famoso Diccionario de símbolos dell’autore catalano può essere uno strumento utile per indagare nel “giardino ermo” (46), ma allo stesso tempo ricco di fiori (rose, linarie, ortensie, gigli e altri) e di presenze animali (lupi, squali ventresche, cigni), della scrittura di Genaro da Silva, che di professione è ingegnere forestale e biologo, ma che dirige anche la rivista e la pagina dei tr3sreinos.com. D’altro canto, Flor negra, come si legge nell’epilogo, è una mappa di “questo cammino che percorriamo in spirali / sempre” per, in fondo, non arrivare mai, “para chegar nunca” (77).
Bibliografia critica:
Santagostini, Mario (1996). I simbolisti tedeschi. Roma: Fazi Editore.
Duque, Félix (2009). “Tres maneras de estar a la contra”. Bajo palabra. Revista de Filosofía, 4, pp. 161-166, https://www.researchgate.net/publication/43602833_Tres_maneras_de_estar_a_la_contra [consultato l’11 ottobre 2018].
Cirlot, Juan-Eduardo (1992 [1958]). Diccionario de símbolos. Barcellona: Editorial Labor, 2ª ed.
L'autore
- Marco Paone è docente di lingua spagnola e codirettore del Centro di Studi Galeghi presso l’Università degli Studi di Perugia. Nelle sue ricerche si è interessato a questioni di storiografia letteraria, relative ad aspetti di circolazione, migrazione e traduzione nel contesto italiano e iberoamericano. È uno dei fondatori di Umbria Poesia e Ultramarinos (Follas Novas: Santiago de Compostela, 2014) è il titolo della sua prima raccolta di poesie.
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