Yolanda Castaño (Santiago de Compostela, 1977) è una delle voci più rappresentative della poesia galega degli ultimi anni.
Yolanda, mi piacerebbe cominciare quest’intervista ricordando brevemente alcuni dati della tua biografia. Sei nata a Santiago de Compostela, dove hai vissuto fino all’inizio degli anni 90, poi ti trasferisci a A Coruña, città in cui finisci i tuoi studi preuniversitari e dove ottieni la laurea in Filologia Ispanica. È stato precisamente in questi anni dove hai cominciato la tua traiettoria letteraria, e ha visto la luce la tua prima opera poetica, Elevar as pálpebras, premiata con il “Fermín Bouza Brey”. Quali fattori ambientali, dalla tua formazione universitaria alla tua vita in generale, hanno potuto influire su questa opera? Che cosa ha significato per te questa prima pubblicazione?
A dire la verità, io avevo cominciato a scrivere da bambina. Abitando a Santiago de Compostela, a sette anni, avevo cominciato a abbozzare i primi versi su imitazione di tutto quello che arrivava alle mie mani, di tutto quello che leggevo e ascoltavo. Leggevo Gloria Fuertes, ad esempio, che era uno dei miei idoli, tra i tanti libri di poesia per l’infanzia. Dopo sono stata stimolata dalle maestre a realizzare componimenti poetici a scuola, un esercizio molto utile e divertente, e così ho cominciato a fare i primi poemi, i quali sono piaciuti all’istante alle mie professoresse e alla mia famiglia. Mi portavano da un’aula in un’altra perché li recitassi davanti alle mie compagne e così sono diventata la poeta del collegio. In questo modo ho ricevuto i primi appoggi, stimoli e piccoli premi scolastici.
Arrivata negli anni 90 a A Coruña per motivi familiari, ho cominciato a far conoscere di più il mio lavoro, soprattutto attraverso una serie di premi minori di poesia, minori nel senso che si limitavano a una sola poesia (tra i 50 e i 100 versi). Ho ricevuto alcuni piccoli premi fino a quando a 17 anni ho inviato una raccolta di poesia a un premio che includeva la pubblicazione della stessa in quel primo libro Elevar as pálpebras. Siccome “divoravo” libri da tanto tempo, soprattutto di poesia, quell’Elevar as pálpebras era un aprire gli occhi alla luce, un dare luce ai miei testi, fare quel passo per cui molte più persone leggono i tuoi poemi. Sono convinta che la poesia sarebbe stata qualcosa di fondamentale nella mia vita, anche se nessuno mi pagasse per quello che faccio, o se nessuno avesse interesse a pubblicare i miei lavori. Scrivere poesia mi fa bene ed è salutare per me, è la mia maniera di esprimermi. Voglio dire, dove non capisco altri modi o altre strategie razionali, è lì dove mi serve la poesia.
E da lì, c’è stato un secondo passo relativo alla pubblicazione. Io ero alle superiori, e vedere il mio nome sulla copertina di un libro è stato stimolante, un grande impulso a continuare e forse un passo decisivo a partire da dove poi tutto si è messo in moto. Ricordo che qui in Galizia esistevano tanti premi destinati ad autori inediti, con meno di 35 anni, cosa stupenda per non competere con poeti ormai consacrati. Tutto ciò è stato importante per far conoscere quelle mie prime opere.
Nel prologo all’opera menzionata, Miguel Anxo Fernán Vello scrive alla fine: “… sappiamo che la nostra poeta conosce la grande Emozione, l’ardente marchio della poesia che segna, parola a parola, le pagine del futuro. Lei sarà lì.” Ed è andata così. Nel 1998 arrivano due nuovi titoli: Delicia e Vivimos no ciclo das Erofanías, opere che tu stessa hai poi tradotto in castigliano e che, insieme ad Elevar as pálpebras, hanno dato luogo a un nuovo volume intitolato Erofanía. Sembra logico includerli in uno stesso volume dato che la linea tematica (l’amore, l’erotismo, il corpo…) e la decostruzione del linguaggio sono comuni. Comunque, mi piacerebbe che ci parlassi un po’ di Delicia, spiegando il gioco sensuale che metti in moto con i sensi come protagonisti.
Effettivamente, sono stati anni di effervescenza creativa successivi a un’effervescenza personale e vitale. Dopo si sono molto allentate le produzioni letterarie. Invece, in quell’epoca scrivevo quasi freneticamente, rispondendo al periodo vitale di “scoperta” che stavo vivendo, la scoperta del corpo, dell’amore… E Delicia è stata una maniera d’esplicitare un po’ alcuni tratti presenti in Elevar as pálpebras, focalizzandoli sui sensi, come dici tu. Per me, la poesia è il linguaggio in cui si esprime una conoscenza più sensoriale, più corporea, non tanto intellettuale o razionale. Nonostante in altri discorsi pesino di più elementi come possono essere il saggio, la ricerca, ecc., quanto più ci avviciniamo all’aspetto più creativo o artistico della letteratura, più pesano altri fattori: l’intuitivo, il simbolico, la fantasia, l’immaginazione e nel caso della poesia credo che si sommi anche il linguaggio del corpo. Questo è il genere letterario dove si esprime o manifesta di più il corpo e la poesia. E come si fa? Attraverso i sensi, ovviamente.
Entriamo nel XXI secolo con l’antologia Edénica. Si tratta di un’opera che offre una ricca varietà, dato che presenta una rigorosa selezione di componimenti delle opere citate finora, coniugata con altri poemi nuovi dove c’è spazio per gli aggettivi “vitale” ed “erotico”. Qual è l’elemento o gli elementi che fanno la differenza rispetto ai titoli precedenti?
Anche se Erofanía raccoglie tutta la poesia di quel periodo iniziale, Edénica è un’antologia dove ho selezionato i componimenti più rappresentativi. In realtà potremmo parlare di una trilogia visto che i tre libri iniziali hanno risposto a un momento concreto e sono stati molto seguiti. Io cerco di essere onesta, cioè, cerco sempre la franchezza e la sincerità in quello che scrivo. Le maschere in poesia non funzionano, dato che il lettore le scopre alla prima occasione e cadono per terra. Per questo motivo posso soltanto scrivere di quello che mi tocca in ogni momento vitale. Quindi, se in quel momento ho delle preoccupazioni particolari, saranno quelle che si rifletteranno nel mio testo. Non posso scrivere qualcosa con cui non mi identifico, che non mi tocchi o non mi interessi profondamente o che non mi appassioni.
In quest’opera ho messo insiemi alcuni poemi che erano rimasti inediti, che non apparivano in nessuno dei titoli precedenti ma che ricadevano nella stessa epoca. A volte succede che ci sono testi che non si includono in un libro per qualche ragione, perché non sono usciti all’epoca oppure perché erano destinati a un progetto specifico. In questo caso erano poemi coerenti con quell’epoca e quindi li ho recuperati per arricchire questo lavoro.
In Profundidade de campo (2007), con cui ottieni tra gli altri il XV Premio de Poesía Espiral Maior, riprendi elementi presenti in O libro da egoísta (2003), come il protagonismo dell’identità e l’articolazione della parola in un’ampia panoramica di forme testuali. In quest’opera possiamo vedere una Yolanda innovativa in cerca di un linguaggio alternativo costruito attraverso immagini. Puoi giustificare in qualche modo il titolo del libro?
Io venivo dall’esperienza con l’immagine attraverso la televisione e, tutto quello che ha l’ottica, come il video o la fotografia, mostra un’immagine che è quello che più o meno può avere Profundidade de campo. Con quest’opera ho costruito una metafora che faceva allusione alla nostra immagine personale, all’immagine che proiettiamo sugli altri, dove alcuni aspetti rimangono in primo piano (perfettamente nitidi), mentre altri rimangono in un piano secondario (sfocati). Questa metafora si basava sui nostri aspetti personali: alcuni risaltano mentre altri rimangono più oscuri. Volevo riflettere su quanto le prime impressioni dicono di noi, di quello che il nostro aspetto rivela ma anche di quello che tace e perfino di quello che falsifica. Dunque, è per questo motivo che appaiono tante immagini. Sono stata sempre una ‘fan’ e coltivatrice dell’immagine poetica perché, diversamente dal linguaggio ordinario che è molto più razionale, la poesia è capace di esprimersi attraverso quelle intuizioni alternative, e una di esse, tre le più potenti, è l’immagine, che è tanto suggestiva, tanto sottile, tanto espansiva, ed è per questo che vi ricorro molto. Infatti, in A segunda lingua, dico che in realtà scriviamo poesia perché un’immagine vale più di mille parole, un’immagine poetica intendo. Per questa ragione, mi è risultata sempre molto redditizia espressivamente l’immagine poetica. Ovviamente, era coerente anche con la tematica del libro.
Parliamo ora dell’amore. L’amore, visto da diverse prospettive, è un elemento che ha una presenza notevole nella tua produzione poetica. Potresti indicare qual è l’importanza di questo sentimento nella poesia in generale, non solo nella tua?
Io credo che l’amore è un’emozione centrale nel discorso poetico universale di tutti i tempi, e penso che lo sarà per sempre, per fortuna. La poesia è forse uno dei migliori veicoli per esprimere l’amore. Se il linguaggio razionale risulta tanto inutile per cercare di maneggiare qualcosa di tanto opprimente ed inesplicabile come l’amore, forse la poesia può risultare più fruttifera. Per questo motivo vanno così d’accordo. Costituiscono una coppia che ha i suoi pregi e i suoi difetti, ma che funziona bene e che ci ha dato grandi regali. Io continuerò a esplorare quella via, continuerò a procurare e a cercare sempre di più, perché trovo che quell’avventura e quel viaggio è molto stimolante.
Anno 2014: esce A segunda lingua, un’opera scritta, per quanto ho letto, durante il tuo soggiorno a Málaga, per la quale ricevi il XI Premio de Poesía Fundación Nova caixa galicia. Questo lavoro rappresenta un cambiamento a livello tematico ed anche stilistico nella tua produzione letteraria. Come hai indicato in qualche occasione, questa seconda lingua si riferisce a quella usata nella comunicazione, come è il caso del galego in Galizia, tra le letture possibili. A questo proposito, come vedi il futuro della lingua galega?
C’è un aneddoto che ispira una delle vie attraverso cui si può interpretare il titolo, che è chiamare un telefono ufficiale:
“Si quiere ser atendido en castellano, pulse 1”. Se quere ser atendido en galego, pulse 2.
Questo succede in tanti telefoni ufficiali qui in Galizia e la cosa peggiore è che molte volte premi 2 ed ascolti: “¿En qué le puedo ayudar?”.
E rispondi: Pulsei 2. – Ai, perdoe perdoe, dígame?
Insomma.
È un po’ imbroglione il libro perché sembra apparentemente molto semplice la sua espressione, ma in realtà non è così facile. La mia idea è stata quella d’offrire diverse letture, ed è per questo che ho giocato molto con i doppi sensi. Per esempio, la propria parola lingua può essere idioma, ma anche l’organo muscolare della bocca.
Effettivamente, la seconda lingua è la lingua della seconda persona, la lingua dell’altro, la lingua del “tu”. Il libro parla molto di come l’idioma sia il ponte attraverso il quale ci mettiamo in contatto con gli altri ed attraversando quel ponte in alcune occasioni si trovano degli ostacoli, o ci troviamo obbligati a utilizzare lingue straniere. A volte capita che devo parlare l’inglese e mi sento un’altra persona, una persona che intellettualmente non se la cava benissimo, perché non mi sento pienamente io.
Parallelamente, in un’altra linea di contenuto che appare nel libro, sottolineo il tema della nostra identità culturale e linguistica e di come ci sentiamo noi parlanti galego in Galizia. A volte ci sentiamo come se stessimo parlando una lingua straniera. Dunque, nonostante la situazione, credo che dobbiamo lavorare con un certo ottimismo, guardare avanti e scommettere sulla cosa positiva perché tutto possa migliorare, soprattutto perché l’abbiamo visto anche in altre realtà. Io ho la fortuna di viaggiare per il mondo e vedo che a volte l’interesse e la mancanza di pregiudizi verso il galego è più esterna che interna. Voglio dire che all’estero la gente mostra interesse per il galego, molto più di quello che a volte succede in Galizia. Penso che si possa lavorare su questo e concentrarsi sui pregiudizi interni. Ho speranza nelle nuove generazioni. Inoltre questa lingua meravigliosa possiede un patrimonio letterario incalcolabile: qui sono infatti fioriti i più bei frutti di tutta la Penisola Iberica a livello letterario. Quindi bisogna essere consapevoli del tesoro che abbiamo fra le mani e non corromperlo.
Cosa c’è che non va, secondo te, nella letteratura galega, pur essendo oggettivamente di valore? Perché non raggiunge la posizione che realmente merita? Magari è un problema di promozione o del mercato?
Hai proprio ragione e non è qualcosa che diciamo noi, visto che non siamo forse i più adatti a dire questo, ma rifletto su quanto sento ovunque. Io sono abituata a viaggiare per il mondo e ascolto quello che si dice della poesia galega. Ricordo che il grande Premio Cervantes Antonio Gamoneda ha detto che la poesia galega era la più interessante della Penisola Iberica. Ovunque in Spagna ci si rende conto dell’enorme livello e qualità letteraria della poesia galega. La realtà è questa. C’è un livello di esigenza, una capacità critica, un’ambizione letteraria molto elevata, della quale si cominciano a vedere i riflessi. Si cominciano a pubblicare molti autori galeghi in traduzioni o in edizione bilingue, e questa è una realtà inarrestabile. Cosa succede? Il grande difetto è nella promozione, nel mercato, nei circuiti d’appoggio, di diffusione e di proiezione esterna della letteratura galega. Tutto ciò è intimamente collegato alla nostra amministrazione. Non vi è fiducia, convinzione né appoggio alla qualità del patrimonio letterario che abbiamo. Molto differente rispetto a quanto succede, per esempio, in Catalogna, realtà che conosciamo bene: lì esiste una politica di promozione culturale e di proiezione esterna, e anche un’economia che accompagna quella politica, mentre qui da noi non esiste nessuna delle due cose. Non è che non ci siano delle risorse, perché ci sono per altre cose. Quello che manca è una politica attiva di promozione della letteratura galega. Questo lavoro lo stanno facendo i lettorati di galego sparsi per il mondo, ma è un peso troppo grande su quelle spalle e con limitate risorse per portarlo a termine come bisognerebbe. Noi che viaggiamo all’estero per i festival, per gli incontri di poesia, ecc., vediamo che c’è sempre una presenza catalana, una basca, una spagnola e, invece, manca sempre una presenza galega. In molti posti neanche hanno sentito mai parlare della Galizia, della cultura o della lingua galega, e non esistono aiuti alla mobilità né alla produzione letteraria, ed è per quello che ci sono tanti problemi. Inoltre gli aiuti destinati alla traduzione sono molto deficienti. Per questo motivo, è enormemente complicato farsi conoscere all’estero scrivendo in galego. Bisognerebbe che ci fosse un impulso molto più convinto e maggiore.
Come ti inserisci nella poesia infantile con titoli come Cando eu saiba ler o Coller as rendas? Questa novità nella tua traiettoria letteraria è forse dovuta alla necessità di farti conoscere da un pubblico più ampio? Un pubblico a cui non si poteva accedere con la tua poesia precedente, visto il maggiore grado di complessità?
È interessante il tuo punto di vista, non ci avevo pensato. Posso essere d’accordo con quanto dici ma mi piace condividere con te il fatto che la mia motivazione è più personale e più sincera: è una specie di debito con quei testi letti da piccola. In realtà mi è venuta la fissa della poesia molto presto, a 6-7 anni, grazie a quelle letture che mi avevano affascinato, letture adattate ai miei anni, logicamente. E visto che la mia passione per la poesia è così grande, mi piace contribuire a divulgarla, farla conoscere e cercare complicità anche tra i più piccoli. Continuo a pensare che esistono ancora molti pregiudizi sulla poesia, tipo “è difficile” o “non la capisco”. È per questo che mi è piaciuto tentare di contagiare quel piacere che io avevo preso tanto presto ad altri bambini, scrivendo una poesia con rima, cosa che mi è sembrata anche un esercizio creativamente interessante e divertente, toccando altre forme rimate, come può essere quella che troviamo in Coller as rendas… Cercare di contagiare questo fervore che ho per la poesia dalle epoche iniziali dell’educazione in definitiva.
Quali sono i poeti galeghi e non galeghi per i quali senti una speciale predilezione? Hanno influenzato la tua poesia?
Mi piacciono molte e molti. Come forse saprai, sono in contatto con molti colleghe e colleghi di diverse parti del mondo, quindi sono tantissimi. Però tento di aggiornarmi su quanto esce nella poesia galega e sono numerosi i nomi a cui faccio attenzione e che mi alimentano ogni giorno. A livello statale, per non citare colleghe e colleghi della Galizia, menziono Juan Andrés García Román, Elena Medel, Erika Martínez o Mercedes Cebrián; per l’Italia Claudio Pozzani, Lello Voce, Patrizia Cavalli e tra le giovani generazioni sceglierei Laura Accerboni, una voce che dovremmo seguire molto da vicino. Avendo appena nominato autrici ed autori della Spagna e dell’Italia, non posso dimenticare Angelo Nestore, un italiano d’espressione castigliana che da Málaga si sta manifestando come una delle voci più innovatrici della poesia spagnola, e che per me è diventato imprescindibile. Ovviamente ho citato solo qualche nome, perché in realtà potrei fornirne altri lungo tutto il pomeriggio.
Certamente, sono influenzata da tutto quello che leggo. Mi alimento di tutti: da Yasuhiro Yotsumoto a XiC huan, per accostare un giapponese a un cinese, senza dimenticare Marko Pogačar, un croato, o l’americano Robert Pinsky, e tante autrici che leggo continuamente (Iman Mersal, Natalia Toledo, Carole David, Deborah Landau, Aurélia Lassaque, Francesca Cricelli…).
Quello che mi piace dire è che gli influssi non sono solo letterari. Mi tocca quello che ascolto, che vedo, che sperimento, e tutto ciò arricchisce il mio discorso. Ho l’immensa fortuna di essere in contatto con questi poeti, e quasi di prima mano mi stanno educando e formando come lettrice e scrittrice. È un privilegio assoluto. Mi sento inoltre influenzata anche dal cinema, dalla musica, da quanto vedo nelle gallerie d’arte, dalla fotografia e perfino dalla pubblicità.
Per la critica sei una poeta innovatrice alla ricerca continua di alternative. Ma tu come definiresti in poche parole il tuo stile poetico?
È difficile fare “autocritica”. Quel lavoro lo lascio alla critica. Quello che posso dire è che cerco di essere onesta, cioè, di non parlare di quello che non mi interessa, né scrivere di ciò che non mi tocca profondamente. Vado sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Insomma, si tratta di un’indagine continua, perché a volte a un determinato impulso creativo seguono una forma, uno stile, un tipo di discorso ed un tono specifici e, invece, ad altri impulsi creativi risponde molto meglio un altro registro.
Pertanto non mi piace auto-interpretarmi, travestirmi da me stessa. Faccio in modo che i miei libri raccolgano qualcosa di nuovo, perché quello che non mi interessa è scrivere quanto ho già scritto o adagiarmi sulla mia poetica. Credo che un “creatore” sia morto quando inizia a fare questo. Io cerco di rischiare, facendo magari una cavolata. Bisogna sbagliare e rendersi consapevoli dei propri errori. Cerco a tutti i costi di non perdere freschezza, di non utilizzare sempre le stesse formule e di non essere ripetitiva. Insomma, quello che voglio dire è che la poesia deve esprimersi come se rinnovasse le parole in qualche modo. Deve finire con i discorsi di seconda mano, fare nuove connessioni tra parole, cercare un nuovo senso e rinnovare i significati.
Sei presente anche nel mondo televisivo. Hai diretto e presentato nel 2002 il programma culturale Mercuria ed anni dopo (2006) hai collaborato in Cifras e Letras, programma che ho seguito per anni come telespettatore e che esiste ancora oggi sotto il nome di Verbas van. Potresti raccontare brevemente ai lettori di Insula Europea in che cosa consistevano questi programmi, soprattutto il primo, dato che non c’è molta informazione al riguardo? Come puoi valutare il tuo passaggio alla televisione a livello personale e professionale?
Comunicare è sempre stata una mia necessità, è quello che cerco di fare attraverso la poesia. E la televisione è sempre stato un mezzo attraverso il quale ho potuto comunicare. Per questo ho studiato all’Escola de Imaxe e Son di A Coruña e poi ho presentato un progetto alla Televisión española in Galizia. Si chiamava Mercuria e ho potuto dirigerlo tra il 2002 e il 2005: mi ha permesso di ottenere il Premio Mestre Mateo á Mellor Comunicadora de Televisión, nel 2005 il premio dell’Academia Galega do Audiovisual, grazie al quale sono diventato accademica della stessa. Mercuria era un programma girato sempre all’esterno, non in uno studio di registrazione. Andavamo nello studio di uno scultore, in una galleria dove si esponeva una fotografa, in una sala di prove di una banda musicale galega, sempre con artisti galeghi, cercando di trovare quanto si faceva non solo in letteratura, ma anche in altre arti in Galizia, e anche quanto facevano gli artisti galeghi fuori del paese: a Londra, Parigi e New York, tre posti dove abbiamo fatto programmi speciali durante quegli anni. Cercavo di mostrare quell’attualità culturale facendo vedere l’immensa forza delle discipline creative, con molta postproduzione, con un’estetica molto marcata e viaggiando di un posto ad un altro in clips che avevano molto di poetico.
Dopo questo, ho collaborato a Cifras e Letras, un “format” francese molto noto. Siccome ero già legata al mondo delle lettere e avendo già diretto e presentato il mio programma, mi hanno chiamato come esperta in lettere insieme a un divulgatore scientifico. Molte volte introducevo discussioni letterarie, e ho registrato 1.170 puntate durante cinque anni e mezzo. È stato un periodo molto divertente, e ho imparato anche tantissimo. A livello professionale è stato un momento molto interessante perché mi ha aperto orizzonti, ma perfino credo che abbia arricchito la mia lingua a livello letterario. Certo, sono state 10.000 prove di lettere trasmesse in TV! E diventi anche un viso conosciuto. Comunque non posso andare molto più in là, nel senso che ho scoperto che non sono molto permeabili i due mondi: la televisione e la poesia. Non pensare che la televisione crei lettori di poesia. Magari! I tuoi libri non diventano subito “di massa” perché la mia poesia non è troppo facile, e non è che li capisci per il fatto che mi hai visto in televisione. Però, insomma, suppongo che nel momento in cui ti scelgono in una biblioteca municipale tra gli scrittori galeghi per parlare di poesia, ha potuto influire anche il fatto di essere un viso conosciuto.
Poi è arrivato un momento in cui non mi è stato più possibile far convivere questi due mondi. A partire dal 2011 si è incrementata molto la mia attività letteraria: ho cominciato a svolgere i miei progetti di gestione culturale vincolati alla poesia con autori galeghi e internazionali, e ho dovuto scegliere tra essere ancora “la ragazza della TV” o puntare a quello che desideravo da anni, e ho optato per quest’ultima scelta: essere un po’ più povera ma certamente più felice.
Cosa ci puoi raccontare della tua incursione nel mercato editoriale italiano?
Era la domanda che più mi aspettavo. Prima di tutto, devo che mi rende veramente felice dato che ho componimenti sparsi tradotti in tante lingue (tra le 25 e 30 lingue diverse), pubblicati in riviste specializzate oppure in libri collettivi, ma ho anche delle plaquettes (piccole pubblicazioni ufficiali che non sono un libro, di 10 – 15 componimenti, ma che in poesia sono abbastanza abituali) in spagnolo, macedone, francese, tedesco e cinese. Ma come libro personale sarà il primo all’estero. Ce ne sono altri in fila in diverse altre lingue che mi faranno altrettanto felice e che usciranno presto. Comunque, il primo di tutti è in italiano e questo mi fa moltissimo piacere perché l’Italia è un paese in cui mi sento sempre come a casa, avverto la sua vicinanza culturale e mi suscita sempre molto interesse. Il libro sarà un prodotto molto speciale, dato che è un libro-disco. Appartiene a una collana intitolata Canzoniere dell’editore Squilibri. Io ero consapevole dell’enorme tradizione italiana nel combinare poesia e musica, cosa che in Galizia richiama molto l’attenzione pur non avendo tanti esempi come in Italia. Quando dico poesia-musica dico proprio poesia e suono, cioè tutte le combinazioni di poesia con qualsiasi stile musicale che ti venga in mente. Questa collana si apre a quel mondo, a quelle combinazioni di poesia e musica, soprattutto ad artisti e formazioni italiane. Ogni anno la collana si apre con uno o due artisti o formazioni straniere. Il primo anno si è aperto con Raúl Zurita, autore cileno con sangue italiano, che è anche uno dei miei autori preferiti. Il livello di Zurita è talmente elevato che può considerarsi un serio candidato al Premio Nobel; e dopo di lui come autore straniero ci sono io. O noi piuttosto, perché con Isaac Garabatos avevo già collaborato da anni in un progetto collettivo: la mia poesia con la musica dal vivo di Isaac Garabatos e Jesús Andrés Tejada, il canto vocale di Mónica de Nut e la danza contemporanea di Branca Novoneyra. Con questa formazione abbiamo viaggiato in diversi luoghi come Helsinki, Tokyo, Monaco, Berlino e abbiamo sviluppato un progetto che era bellissimo però forse non troppo facile da distribuire, dato che eravamo tanti. Insomma nel disco che accompagna il libro si avrà un duo tra Isaac Garabatos e me. Si chiamerà Lingua dell’ inchiostro, in galego Idioma da tinta, e presenterà i componimenti in edizione bilingue (galego ed italiano). Questo ci fa molto piacere perché si potrà ascoltare e leggere la nostra lingua originale e paragonarla alla traduzione italiana che ha fatto Nancy de Benedetto, professoressa a Bari. Nel disco, si potranno ascoltare i componimenti recitati da me in galego con musica di Isaac Garabatos, composta espressamente per ogni componimento. Sono 13 o 14 testi dei miei ultimi libri (Profundidade de campo, O libro da egoísta, A segunda lingua), insieme ad altri miei testi sparsi, con musiche molto versatili dal jazz, all’elettronica, al pop, alla fusion. Credo molto nell’aspetto orale della poesia, poiché sono assolutamente consapevole che è nata per essere cantata, e per me è un vero piacere poter esplorare il mondo del suono e della messa in scena di questi componimenti. È per questo che sono enormemente entusiasta di questo primo lavoro all’estero, che, come tutti quelli della collana Canzoniere, sarà arricchito da un terzo linguaggio creativo, quello del fumetto poetico, cioè il dialogo tra fumetto e poesia, un altro linguaggio in cui l’Italia è molto più prolifica di tutta la Penisola Iberica. Ho l’immenso onore e privilegio di avere nel libro Miguelanxo Prado, che illustrerà uno dei componimenti presenti nel libro in vignette e sarà precisamente la copertina del libro.
Scarica l’intervista in galego
Santiago Serantes entrevista a Yolanda Castaño
L'autore
- E' attualmente lettore di galego presso l'Università degli Studi di Padova.
Ultimi articoli
- conversando con...18 Settembre 2018Santiago Serantes intervista Yolanda Castaño