Martedì 2 ottobre uscirà nelle sale Ti porto io, docufilm che esplora il vero significato dell’amicizia. La vicenda narra l’impresa di due amici con Patrick che accetta di portare Justin, costretto a vivere su una sedia a rotelle, per tutti gli ottocento chilometri del Cammino di Santiago. Abbiamo conversato con Patrick Gray, ovvero colui che spinge Justin, e Terry Parish, regista del docufilm.
Nel corso degli ultimi anni sono ormai varie le tipologie di chi si accinge a percorrere il Cammino di Santiago: religioso, naturistico, vacanza low cost e ora anche percorso new age. Questo interesse ha ormai conquistato il mondo del cinema, come dimostra il numero di film dedicati al percorso. Questa pellicola si rivela molto coraggiosa proprio per il suo approccio al Camino. Indicativa a mio avviso è la frase del protagonista “È la prima volta che vengo trascinato”. Come e perché nasce questa idea?
Patrick: Affrontare un Cammino di 800 km è una pura follia! La nostra impresa si è rivelata una grande prova di coraggio. La nostra lotta, la nostra fiducia, la nostra fede ed incrollabile amicizia hanno creato l’opportunità all’umanità di brillare, dimostrando il bene di cui siamo capaci. Il nostro cammino ha aperto gli occhi a molti sul fatto che siamo pronti a fare cose incredibili, amare in maniera totale offrendo agli altri le parti migliori di noi, anche se siamo tutti in qualche modo deboli.
Terry: Credo fermamente che questo film riguardi tutti. Quando guardo Patrick o Justin, vedo me stesso. Nella mia vita, sono, in ugual maniera, debole, incapace, forte e generoso. La loro amicizia è qualcosa a cui aspirare, ovviamente. Ero molto interessato ai luoghi magici e alle situazioni che s’incontrano, come Justin all’inizio del film e Patrick alla fine. Alla sera è assai difficile sapere quanto abbiamo bisogno dell’uno e dell’altro. A volte è ancora più difficile accettare quell’aiuto. Questo film parla di questa dinamica. Mentre si usa dire che “è più importante dare che ricevere”, devi prima consentire agli altri di dare.
L’insegnamento principale che si ricava dal film è soprattutto la capacità di vedere oltre il buco nero quando accade una disgrazia. Cosa ne pensate?
Terry: Justin e Patrick non hanno mai pensato di fare un film sulla loro esperienza del Cammino; sarebbe stato solo un viaggio insieme, un viaggio tra due amici. Nell’estate del 2013, però, Patrick era ad un barbecue e si avvicinò al suo capo, Ed Castledine, per chiedergli il tempo necessario per fare il viaggio. Questi era riluttante a concedergli sei settimane consecutive, finché Patrick stesso non gli spiegò il motivo per cui aveva bisogno di quel tempo. Ed allora Ed Castledine fu davvero entusiasta dei piani di Justin e Patrick, e disse: “Farò tutto quanto è in mio potere per concederti il tempo necessario, perché tu faccia il possibile per documentare questa impresa”. Quando Patrick ha chiesto il motivo, Ed ha risposto: “Perché se non lo fai, sei egoista e irresponsabile. C’è troppa speranza per non condividerlo”. Justin ha quindi incontrato Terry Parish e Chris Karcher e ha lanciato l’idea. Il team Emota era pronto per fare il film…tutto il resto è storia.
Avete deciso di fare il Camino proprio dall’inizio. Per quale motivo, vista la difficoltà dell’impresa. Non c’è il rischio che si possa interpretare il tutto come un tentativo di entrare nel “Guinness book”?
Terry: Non posso parlare per Justin e Patrick o Ted, che erano lì. Penso che ci fossero più ragioni. A volte, negli Stati Uniti, ci piace dire: “lo facciamo perché possiamo” o “lo facciamo perché è lì”. Questo si esprime anche nella classica domanda retorica “perché no?”. Certo, potrebbe essere stata un po’ di spavalderia o come si dice in spagnolo “machismo”. Ma ancora più importante è il valore della loro amicizia: ho visto Patrick che voleva offrire al suo migliore amico un’esperienza meravigliosa e fantastica. In definitiva penso che ci sia stata la paura di perdere quanto di spirituale il Cammino fornisce. E tutto ciò è certamente loro accaduto. Se non l’avessero fatto, se non avessero attraversato tale difficoltà, la ricompensa non sarebbe stata così dolce. Il Cammino insegna alla gente molte cose. Forse la lezione più importante per Justin e Patrick è che tutti noi abbiamo delle sfide nella vita e l’unico modo per superarle è accettare gli altri nelle nostre storie.
Patrick: Il Cammino era qualcosa che si chiamava Justin. Parlava al suo cuore e sapeva solo che era qualcosa che doveva tentare, ma sapeva anche che non poteva farlo da solo. Quando Justin mi ha chiesto: “vuoi camminare 800 km nel Nord della Spagna con me?”, è stato un momento decisivo per la nostra amicizia perché non sono stato chiamato dal Cammino, ma ho sentito l’impulso di rendere mio il sogno di Justin. Non importava quanto duro fosse il viaggio, l’unica cosa che importava era che stessimo facendo il Cammino insieme. No non credo che la gente possa interpretare la nostra impresa come un tentativo di entrare nel “Guinness book”.
Terry: La nostra consapevolezza era che Justin non fosse il primo a fare una cosa del genere, quindi non avremmo raggiunto alcun record. Possiamo però supporre che alcuni potrebbero interpretarlo in questo modo. Quando Justin dice che potremmo stabilire un record, intende dire che “questa è una storia che racconteremo per molto tempo”.
Le immagini sono esemplificative già nella prima tappa per arrivare a Santiago. Qual è stato il momento più difficile del viaggio?
Patrick: La parte più difficile del viaggio è stata la prima, quando si affrontano i Pirenei. Quel primo giorno è stato molto impegnativo. Emotivamente abbiamo lottato contro la lontananza dalle nostre mogli e dai nostri figli.
Terry: Per Justin e Patrick, è difficile dire se la fatica dei primi giorni e le sfide con la sedia a rotelle su un terreno così arduo fossero insuperabili, o se fossero più faticose le parti emotive di questi luoghi, dove le distrazioni date da panorami bellissimi li avevano lasciati in balia dei loro pensieri. Per noi registi è stato un inizio difficile. Eravamo una nuova squadra. Ci è voluto un po’ di tempo per trovare il ritmo, anche se eravamo solo in quattro. Il nostro viaggio ha seguito il loro. Anche noi, d’altronde, avevamo bisogno d’imparare ad aver fiducia l’uno dell’altro.
Qual è l’obiettivo che si propone questo film: la sensibilizzazione nei confronti della disabilità o altro?
Patrick: No, l’intento del film non era quello di aprire una parentesi, una breccia sul mondo della disabilità. L’intento del film è quello di raccontare una storia di amicizia, una storia di trionfo, una storia di comunità. In definitiva, l’obiettivo è quello di far vedere agli altri “oltre” ogni sfida che affrontano, abbracciando l’amore, la compassione e la grazia.
Terry: L’obiettivo è far sapere alle persone che non sono sole. Volevamo toccare il cuore del nostro pubblico. Volevamo che i loro cuori si addolcissero alla possibilità che ci sono persone disposte ad aiutare. Costoro possono e vogliono avere la gioia di aiutarti. Devi solo lasciarglielo fare. E quando lo fai, sei in grado di scalare montagne e di vedere panorami che non avresti mai potuto raggiungere da solo.
A quale pubblico pensate?
Patrick: Il film è per tutti. Non ha un suo pubblico ben definito. Uomini e donne, giovani e vecchi, popolazioni e culture diverse, tutti con le loro rispettive religioni e le loro debolezze. Possono essere persone che vedendo il film sono in grado di identificarsi in un modo o nell’altro. Si riflettono in Justin, si specchiano in Patrick, e molti altri si identificano con entrambi.
Terry: Crediamo che questo documentario sia perfetto per le persone che non amano i documentari. Non è solo per le persone di fede, ma anche per le persone che desiderano una comunità in un mondo sempre più isolato dai social media e dalla tecnologia. Questo film è per gli appassionati di outdoor, è per disabili e amici allo stesso tempo, ed è anche per gli uomini che di solito non vedono la profondità delle loro amicizie, rispecchiate nei libri o al cinema. È per quelli che hanno speranza per l’umanità.
Trailer del film:
https://www.youtube.com/watch?v=ookDKNhBE7U
L'autore
- Carlo Pulsoni è il coordinatore di Insula europea (http://www.insulaeuropea.eu/carlo-pulsoni/).
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