Caro Maestro, grazie innanzi tutto di sottoporsi, con la grande disponibilità che le è propria, ad alcune domande volte soprattutto a farla conoscere di più e meglio ai giovani. Non c’è infatti contesto culturale che non la ammiri; la sua fama da tempo ha varcato gli Oceani, ma in considerazione che i giovani hanno sempre avuto un ruolo molto importante nella sua vita ho pensato a quelli ‘attuali’, soprattutto a coloro inclinati alle arti, e a quanto potrà servire a questi giovani conoscere più da vicino le sue esperienze. Il mio intervento nel catalogo Ezio Gribaudo. I libri metafora di una vita a corredo della mostra a lei dedicata che aprirà alla Biblioteca Nazionale di Torino il 4 maggio 2018, primo omaggio per il suo novantesimo compleanno, punta l’obiettivo sugli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento (https://www.abnut.it/evento_calendario/inaugurazione-della-mostra-ezio-gribaudo-i-libri-metafora-di-una-vita/). Ma che cosa ha influito ancora prima, ovvero agli esordi della sua formazione, e a quale Torino si sentiva più vicino?
Nella Torino della fine degli anni Quaranta non si poteva restare estranei ai movimenti sociali e politici che animavano la città: il socialismo o meglio il comunismo appartenevano al nostro DNA di giovani ‘impegnati’. La mia formazione a Torino non è infatti molto diversa da quella di altri compagni di strada. Crescevamo leggendo Gobetti e Gramsci e ci si impratichiva all’epoca in tutti i mestieri del libro. Nell’Einaudi avevo svolto la mansione di correttore di bozze. Gli amici di quella stagione erano Franco Antonicelli, Pannella e Luigi Berlinguer. Per il partito andai con loro a Bucarest nel 1953, in qualità di delegato. Nei primi anni Sessanta una palestra sociale e nel contempo di lavoro fu rappresentata dalla RAI e dalle sue edizioni, le ERI, alle quali anch’io attesi. Basti pensare a due miei libri, uno con Giovanni Carandente, per I trionfi del secondo Rinascimento (1963) e l’altro con Franco Antonicelli per il suo D’Annunzio (1964). Sono tutte esperienze che hanno contribuito molto alla mia formazione: mi hanno aperto a diverse dimensioni sociali e culturali.
I libri, come suona il titolo di quest’ultimo suo catalogo, sono stati protagonisti indiscussi della sua vita. La domanda che viene di conseguenza spontanea rivolgerle ora è: come ha dapprima incrociato il libro, al di là dei suoi “primi mestieri”? È stato il testo ad affascinarla e quali testi, o è stata invece la sua oggettualità, oppure il bisogno di crearne a propria immagine, applicando cioè la sua arte e coniugandola a particolari espressioni letterarie?
Sono sempre stato attratto dal libro e, dopo la RAI, lavorando in una casa editrice che era anche tipografia ho avuto un contatto diretto con la carta e ho potuto avvalermi delle macchine tipografiche anche per realizzare i miei libri su carta buvard. Un’attenzione particolare l’ho avuta anche per i testi che accompagnavano le mie opere, da De Chirico ai poeti come Raffaele Carrieri o Marisa Zoni che ha scritto per me 46 poesie per Lo scultore di carta, agli aforismi inediti di Antonio Tabucchi per i miei libri leporelli.
Il libro è stato protagonista anche dei miei incontri con i Maestri del XX secolo che ho avuto l’opportunità di frequentare già dai primi anni Sessanta a Parigi, Bruxelles e New York.
Un esempio per tutti: con Pierre Alechinsky, appassionato di stampa e tipografia, ho pubblicato molti libri stampati ancora in rotocalco con i neri che sembrano velluto!
Frequentare Parigi negli anni Sessanta è stato per me un momento magico, l’entusiasmo e le opportunità di conoscere il mondo dell’arte mi hanno aperto infatti la mente per il futuro.
Ho avuto l’intuizione di proporre monografie sul loro lavoro in tempi non sospetti, dove, per esempio, Samuel Beckett scrisse il testo per Bram van Velde e Palazzeschi per Primo Conti.
Com’è avvenuto allora il passaggio dal libro d’arte al libro d’artista, e come ha potuto seguire entrambi i binari per un così lungo tempo?
Il passaggio dal libro d’arte al libro d’artista è avvenuto con naturalezza proprio per il mio coinvolgimento a 360 gradi nel mondo dell’editoria. Io ho incominciato a lavorare in modo strutturato alla Nebiolo, industria di prim’ordine per la produzione di caratteri e macchine da stampa; quindi sono passato alla Pozzo, industria tipografica dove ho creato dal nulla la casa editrice per curare i libri d’arte mentre, parallelamente, ho sempre continuato la mia attività di artista. L’attenzione ai libri come pezzi unici o a tiratura limitata prosegue dai primi anni Sessanta con i libri per Il Cavallino, la galleria di Carlo Cardazzo a Venezia, fino a oggi, anche in forme diverse, come provano le recenti edizioni per Fògola (Il Tifone di Conrad) o il Pinocchio per i tipi della Tallone, volumi che hanno richiesto mie tavole originali adatte ad illustrarli.
Si è sempre detto che il suo rapporto con altri grandi del firmamento internazionale dell’arte è stato foriero di sviluppi sia nell’alimentazione del lavoro editoriale, sia nello sviluppo della sua personale espressività in alcune direzioni. Poco a mio avviso invece si è parlato della inclinazione del maestro Gribaudo a rifuggire dall’establishment ufficiale e del suo bisogno di affrancarsi senza soggezioni di sorta ma contraendo vere amicizie sia con colleghi di diverso orientamento sia con galleristi ritenuti importanti e affidabili per i suoi mirabili ‘prodotti’ artistici. Fra le amicizie e i galleristi chi e perché ricorda con maggiore intensità?
I personaggi che hanno accompagnato la mia avventura artistica ed editoriale, senza che fossi aiutato o sostenuto da alcun potere, sono moltissimi. Ricordo sicuramente per importanza Michel Tapié, profeta dell’Art Autre, il nostro Informale, e tutti gli artisti del gruppo CoBrA., altro movimento artistico d’avanguardia che mirava alla libera espressione. Divenni amico di Jorn, Appel, Alechinsky, e anche di Giorgio de Chirico che mi scrisse una lettera memorabile nel 1969 e con il quale ho realizzato tre libri in quegli anni in cui era dimenticato dalla critica. Non posso dimenticare neppure l’amicizia con Peggy Guggenheim e Jean Dubuffet e con tutto il mondo dell’arte russa, da Mihail Chemiakin, Yuri Kuper, a Oleg Tselkov.
E mi permetta un’ultima domanda che è anche alla base del forte calore, direi trasporto, che ho avvertito subito nel conoscerla personalmente: che ne pensa del gallerista Efrem Tavoni e della Casa dell’Arte?
Di Efrem Tavoni ho un caro ricordo, era un personaggio appassionato del suo lavoro, le cui idee sul mondo dell’arte collimavano con le mie. La Casa dell’Arte, la sua galleria, pur essendo ubicata non in una grande città, ma a Sasso Marconi, nei pressi di Bologna, ha costituito un punto di riferimento speciale che ha dato l’abbrivio al collezionismo contemporaneo, grazie a mostre estremamente curate e d’avanguardia.
Grazie, caro Maestro, e auguri per questo suo genetliaco e per i tanti altri che potremo festeggiare, mi auguro, ancora insieme.
L'autore
- M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it
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