di Antonello Tolve
Nella pittura di Olimpia Bera (Zalău, Romania – 1983) il tempo non si ferma, non è bruscamente sospeso o bloccato nella staticità di una immagine fàtica1, ma si ha come l’impressione di vivere un gesto eseguito in più istanti, di assaporare uno svolgimento continuo della narrazione, di percepire il condensarsi (in un solo perimetro visivo) di più movimenti ripartiti tra i mesi, i giorni, le ore di lavoro. Le sue opere invitano lo spettatore a rivivere attimi di vissuto, a percorrere un lessico familiare dove tutto si addolcisce, si mescola a una sapienza cromatica fatta di sovrimpressioni, di venature, di velature, di fantasie senza fili che scivolano sulla tela e lasciano i segni visibili del vissuto. È il mondo della vita e dei mille significati che la riguardano2 ad essere, per l’artista, territorio privilegiato di un racconto ininterrotto, di un entretien infini3, di un sentiero che tocca la tavolozza della vita e descrive l’intimità di anni, di pochi anni, coperti dalla conoscenza di piccole cose, di piccole storie, di piccole occasioni.
Rivalutando con eleganza tipologie artistiche come il “paesaggio”, la “marina”, il “ritratto” e la “pittura di genere” – rappresentazione pittorica, quest’ultima, che ha per soggetto scene ed eventi tratti dalla vita quotidiana – Olimpia Bera crea, oggi, un’atmosfera visiva fatta di appunti, di schizzi, di disegni, di modelli, di studi, di pensieri che ridefiniscono le note della memoria e si depositano sulla superficie con effetti di fumosa trasparenza, con la forza di una visione incompiuta della rappresentazione (o, se si vuole, di apparente non-finito) tesa a evocare, su uno stesso piano, i luoghi della cultura, gli spazi della natura, il caos eroico della materia.
Accanto al progetto Imponderable (2016) dove l’artista elabora una riflessione sulle varie declinazione dell’inchiostro su carta e realizza ariosi, vorticosi spazi il cui movimento richiama alla memoria la pittura di William Turner e la carica poetica del sublime (il ciclo è composto da una serie di lavori in piccolo formato e da un foglio 105x266cm che investe lo sguardo dello spettatore e lo porta in un dannunziano “marerboso”, in un mondo imprevedibile, misterioso, enigmatico), Olimpia Bera accende una serie di itinerari che saltano il fosso della polimatericità di cui si nutrivano alcuni suoi studi più strettamente legati all’informale, per stringere un sodalizio definitivo con la pittura e, nel contempo, con forme primordiali – «l’arte non è mai stata un problema di fondo, ma di forme»4 ha apostrofato Daniel Buren – e con modelli intimi, consueti, quotidiani.
Se nelle Unnatural Circumstances (2014-2016) la natura è presa per la coda e oggettualizzata mediante l’utilizzo di materiali eterogenei (corda, colla, tela, carta velina, nastro magnetico) o frammentata, acquerellata e inserita in piccoli riquadri orizzontali (tutti 14,5x21cm) quasi a mimare i fotogrammi della pellicola cinematografica, dall’altra con gli accattivanti Landmarks (2015-2016), frammenti di ambiente che sprigionano una carica emotiva estraniante (finanche erotica, sintetica, astrattosferica), l’artista tende a ridefinire un patto privato con il paesaggio e con la marina attraverso un rinnovato Weltgefühl (sentimento del mondo) e una restaurata visione delle cose.
A questi cicli più strettamente legati alle varie declinazioni del paesaggio naturale, si innesta (dal 2015) un modello più intimo, diaristico e poetico che attraversa la vita quotidiana fatta di faccende domestiche, di spazi confidenziali, di giochi e di oggetti, di gioie e di dolori, di magnetiche eleganze o di irresistibili momenti di memoria topografica (quella che conserva, quella che l’artista eredita visivamente dalle generazioni che la precedono).
L’ammucchiarsi apparentemente disordinato di cose che caratterizza il ciclo Sentimental Monographs (2015-2016) è lungo tale orizzonte preambolo di una totale Malerei – come non pensare a certe ninfee di Monet – che si dilata sulla tela e lascia affiorare il gesto sicuro, la virgola necessaria, l’ombra lattea del presente, i residui di un processo, di un fare che si nutre di materia pulsante, di sotterranee vene nostalgiche. Una donna che guarda alla finestra volgendo le spalle alla libreria di famiglia, un’antica cucina di campagna bagnata dal sole, un’anziana signora (con bambina in braccio) inserita in un soggiorno con stufa, uno sguardo alla finestra che tesse insieme l’interno e l’esterno o un angolo di casa dove si leggono gli effetti recenti della pittura e dell’infanzia, sono alcune delle opere che compongono questo percorso il cui “segreto” è quello di recuperare l’odierno da un passato che avanza senza sosta e rende tutto lontano, distante ma non indifferente.
Con Endless Game, titolo di questo suo ultimo progetto e di una importante opera del 2017 dove una serie di bambini giocano in cerchio per dar luogo a un felice giro-girotondo, tutto diventa più fluido e etereo per toccare cromaticamente le cose – tavole ornate di mobili e suppellettili (i «muti e fedeli compagni»5 che impreziosiscono le nostre case) ad esempio – e invitare lo spettatore a leggere istanti pulsanti di vita, di reale realtà. L’arte irrompe infatti nel quotidiano e dilata il proprio raggio d’azione per far presa sulle storie semplici – Una storia semplice è il romanzo scritto da Leonardo Sciascia nel 1989 e ispirato al furto della Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi (1609) di Caravaggio6 – e sui fatti vissuti dall’artista in prima persona, in registrazione diretta. Olimpia Bera è qui pronta ad assorbire, a decifrare il tessuto biografico nel suo manifestarsi, a creare un dialogo serrato non solo con la pittura e con i suoi strumenti – il colore, la superficie, la struttura, la forma, la luce in particolare – ma anche con la sua primogenita che partecipa direttamente ai suoi racconti visivi, che entra nell’opera come soggetto e in alcuni casi li impreziosisce con gesti, con tracce fanciullesche, con mani che lasciano la loro propria impronta, la loro testimonianza.
Nelle composizioni che caratterizzano Endless Game gli oggetti – resi con un numero considerevole di movimenti minimi e rapidi – si sentono con la massima chiarezza anche se appena accennati: e le figure diventano tutt’uno con gli ambienti per concepire, evidenziandolo, un clima d’insieme. È un tripudio di colore, una pioggia costante di luce che rende tutto leggero – The King II (2016) è la scena di una bambina con un cavallo che mostra la regalità dell’infanzia – e fa slittare continuamente l’attenzione dalla vita alla sua recita, dall’ordinario allo straordinario.
Alimentato da un costante bisogno di intrecciare appunto i fili del reale a quelli dell’irreale, il laboratorio pittorico di Olimpia Bera, fonde oggi i territori espressivi del gesto, del segno e della materia per trasformare le cose quotidiane in fantasie d’allontanamento, in riflessioni sulla memoria, in scenari squillanti capaci di paralizzare il sorriso per protrarne la forza e la dolcezza in un futuro che ricorda il passato e vive costantemente il presente, le sue presenze, le sue contingenze, le sue fuggitive allegrie.
1Dal greco ϕατικός; formula stereotipata che, secondo Bronisław Malinowski, costituisce una pura affermazione.
2Cfr. A. Trimarco, Il presente dell’arte, prefaz. di G. Dorfles, Tema Celeste, Siracusa 1992.
3M. Blanchot, L’entretien infini, Gallimard NRF, Paris 1969.
4G. Boudaille, Au Salon de mai / La nouvelle vague ne fait pas oublier celle de 1950, colloquio con Daniel Buren, in «Les lettres françaises», n° 1233, 8-15 mai , Paris1968, p. 31.
5G. Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini (1962), con uno scritto di E. Montale, Einaudi, Torino 1980, p. 155.
6L’opera, mai più recuperata, è stata trafugata a Palermo la notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo.
Verso la pittura totale di Antonello Tolve (pdf)
Towards Absolute Painting by Antonello Tolve (pdf)
Înspre pictura totală de Antonello Tolve (pdf)
L'autore
- Antonello Tolve è il direttore responsabile di Insula europea (http://www.insulaeuropea.eu/antonello-tolve/)
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