Il tema proposto per questo numero dell’Almanacco reca un titolo accattivante: “Sulle orme di San Brandano. Nuove fantacorrispondenze dai nostri inviati speciali nelle terre incognite ai confini dell’universo”. Titolo molto affascinante ed altrettanto impegnativo.
Io, più modestamente, parlerò di un luogo assai più vicino: un angolo della capitale d’Italia che ho frequentato spesso negli anni passati e di cui la gran parte dei bibliofili ignorava invece l’esistenza (confesso, sì: tacevo per evitare incursioni “nemiche”).
Avviciniamoci. Non si trova ai confini dell’universo, ma siamo pur sempre ai confini della realtà.
“A (….), a quasi 55 anni dal nostro primo incontro al Tasso. Quasi una vita. Dicembre 1997. (…)”. Chi scrive questa dedica su un proprio libro, donato a un importante intellettuale italiano, è un altrettanto importante scrittore e regista, ben noto nel nostro Paese.
Non svelerò i nomi, sarebbe impietoso e crudele. Uno dei due protagonisti, peraltro, ormai non c’è più. Ma la vicenda merita di essere raccontata.
La dedica, evidentemente molto partecipata ed affettuosa, è del dicembre del ’97. Il libro è stato da me rinvenuto in una bancarella romana poco dopo l’Epifania del ’98. Praticamente subito dopo esser stato ricevuto. La persona a cui era stato donato se ne era disfatta.
Ancora. “A (….), nel ricordo di quei terribili giorni, con infinita gratitudine. (…)”. Due noti personaggi dell’economia e della politica, questa volta. L’uno, ricordando momenti, come li definisce, evidentemente terribili, regala un suo libro che narra proprio quelle vicende a chi, sembra di capire, allora lo aiutò.
Superfluo dire che anche questo volume si è subito ritrovato nelle abili mani di un rivenditore ambulante: da esse, è poi presto transitato nella mia biblioteca (un po’ pettegola, curiosa, forse impertinente, come si vedrà).
La bancarella in questione – che da qualche anno, per cause a me ignote, ha purtroppo smobilitato – era situata in un crocevia strategico per ricevere volumi di quel tipo. Si trovava alle spalle della Camera dei Deputati, tra piazza del Parlamento, via di Campo Marzio e via dei Prefetti: nel cuore di Roma. Era situata, cioè, tra una sede istituzionale e la redazione di due giornali quali il Corriere della Sera e Il Manifesto, i cui uffici erano allora ancora in via Tomacelli.
I parlamentari e i giornalisti, per motivi diversi, ricevono un’infinità di pubblicazioni, libri e riviste. Molti di loro, evidentemente, se ne disfacevano (e immagino continuino a disfarsene). Quella strategica bancarella era il luogo privilegiato, dunque, della dismissione.
Facciamo un passo indietro. È circostanza notissima che un volume impreziosito da una dedica dell’autore presenta un valore aggiunto. Ricostruire, attraverso le dediche o gli ex libris o anche solo le note di possesso, le biblioteche private di chiunque di noi, equivale a cimentarsi nella ricostruzione anche della biografia intellettuale (e non solo) di chi, quei volumi, aveva posseduto. Io stesso, in un fortunato libretto di qualche anno fa, mi sono impegnato in un’impresa del genere, in relazione
alla biblioteca del grande antichista tedesco Theodor Mommsen[ref]O. Diliberto, La biblioteca stregata, Roma, Robin, 20034. La prima versione del testo si intitolava semplicemente Storia di un libro (Cagliari 1995, edizione privata), poi, dal 1999, completamente riscritta ed ampliata, è sempre stata èdita (dalla Robin di Roma e, in tiratura numerata, da Rovello di Milano) con il titolo attuale.[/ref]: una biblioteca, quest’ultima, bersagliata dalla sorte già con Mommsen vivente e poi sciaguratamente smembrata dagli eredi, tanto che molte tracce di essa si rinvengono anche in Italia.
Gli eredi, peraltro, si sa, sono i peggiori nemici delle biblioteche. Non comprendendone, il più delle volte, il valore, svendono tutto con una leggerezza che lascia sconcertati.
Migliaia di volumi raccolti negli anni con fatica, passione, laboriosità, amore, diventano – con la scomparsa di chi li aveva accumulati – inutile carta di cui gli eredi, il più delle volte, non sanno che farsene. Ne sono quasi infastiditi, irritati. Non vedono l’ora di liberarsene.
Entrano in scena, dunque, gli “svuota cantine”. Personaggi quasi leggendari. La loro attività è preziosa. In fondo, salvano dall’altrimenti inevitabile distruzione – non sempre, ma spesso, per modesto guadagno – quei volumi, i documenti, le corrispondenze, gli appunti e quant’altro si è raccolto nel corso di una vita: e immettono il tutto, nuovamente, nel mercato. Il più delle volte, appunto, nei mercatini o sulle bancarelle.
Gli esempi sarebbero infiniti. Mi limito a due casi, recenti e clamorosi. Qualche anno fa, Andrea Kerbaker ha rinvenuto in una fiera a Milano, appunto sulle bancarelle, la biblioteca del fondatore della psicanalisi italiana, Cesare Musatti. Ottocento volumi e più di mille fascicoli di rivista, buttati solo quattro mesi dopo la scomparsa del grande studioso. Ne ha tratto un delizioso libretto[ref]A. Kerbaker, Ex libris Cesare L. Musatti, Scheiwiller, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1994.[/ref] in cui riproduce anche le dediche che si rinvengono sui volumi: vi si trova praticamente tutta l’intellettualità e la politica italiana del secolo che abbiamo alle spalle.
Pochi mesi fa, poi, parte dell’archivio (anche con preziosi appunti personali) del grande francesista Giovanni Macchia è stato rinvenuto da un collezionista sulla bancarella di un cingalese a Porta Portese, tradizionale mercato dell’usato di Roma. Quattro sacchi di materiale prezioso. Per fortuna, anche in questo caso, il materiale è stato recuperato: ma sicuramente una parte importante dell’archivio medesimo – non si può sapere in che percentuale – è andato disperso.
Morto il proprietario, possono morire anche le biblioteche.
Qualche rara volta, ciò non accade. Evidentemente ciò avviene quando chi eredita è ben conscio dell’importanza di ciò che riceve e, ovviamente, lo ama quanto il predecessore.
È il caso – straordinario – dello splendido, recentissimo volume All’amico editore. Dediche a Vanni Scheiwiller[ref]Il volume è a cura di Laura Novati, prefazione di Alessandro Spina, Scheiwiller, All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano 2007.[/ref].
Raccoglie i principali volumi ricevuti con dedica dal grandissimo editore milanese e realizza quella che è stata giustamente definita una sorta di fotografia di gruppo dell’irripetibile cerchia intellettuale formatasi nei decenni attorno a Scheiwiller: tutto il meglio della letteratura del ‘900, e certo non solo italiana. Semplicemente struggente. Vertiginoso viaggio intellettuale.
I libri hanno, dunque, destini singolari. Seguono percorsi tortuosi, vie carsiche: quelli che una volta erano collocati in biblioteche pubbliche e da esse sono stati sottratti, magari conservandone i segni o i timbri dell’antica appartenenza; quelli provenienti da raccolte private, in seguito smembrate dagli eredi; quelli ripudiati dagli stessi autori o da coloro (come nel nostro caso) ai quali erano stati donati; quelli dispersi con il fallimento degli editori.
Questi libri, non di rado, riemergono in luoghi e tempi spesso del tutto imprevedibili. Ricostruire tali vicende è il compito – e la gioia – del bibliografo. Un’avventura intellettuale straordinaria: perché è storia di libri, ma anche storia di grandezze e miserie umane. Le dediche ne sono traccia indelebile.
Queste ultime, peraltro, come è ben noto, possono essere di natura diversa. Vi sono le dediche di circostanza, quelle realmente sentite dall’autore per i particolari rapporti di vicinanza o amicizia con il ricevente, quelle occasionali (si pensi alle lunghe file per far firmare il libro allo scrittore di turno dopo una presentazione). Ma tutte le dediche, ciascuna a modo suo, impreziosiscono il volume. Il libro è, infatti, per definizione, un multiplo. La dedica rende viceversa quel singolo volume un unicum.
Da questo punto di vista, la bancarella dalla quale siamo partiti rappresentava ai miei occhi un’autentica miniera d’oro.
Collocata, come già ricordato, in un luogo strategico del centro della capitale, vi confluivano i libri inviati a politici, gli omaggi ai sodali di partito o semplicemente al potente di turno, quelli offerti ai giornalisti per una recensione, libri di sconosciuti a personaggi illustri. Alcuni con destinatario ignoto (cioè con la sola firma dell’autore, senza indicazione del ricevente), la maggior parte con il nome del dedicatario. Alcune dediche sono struggenti.
Tutti questi volumi, però, sono stati evidentemente (e spietatamente) respinti, indirizzati sul mercato dell’usato, ancorché non usati, cioè non letti.
Per una buona decina d’anni, li ho pazientemente recuperati io. Il criterio della raccolta era in fondo molto semplice. Libri regalati da viventi ad altri viventi (anche se, nel frattempo, alcuni non lo sono più): in altre parole, volumi deliberatamente non voluti dal destinatario e non già dispersi dagli eredi, come di norma accade.
Ho raccolto, cioè, libri scientemente trasformati in res derelictae, senza che alcuno dei protagonisti potesse immaginare che qualcuno, come me, amorevolmente li avrebbe poi recuperati: spinto da curiosità intellettuale, ma anche indotto a ciò da un po’ (ammetto) di voyeurismo, sicuramente mosso dal bonario sadismo di constatare l’impietoso giudizio di alcuni personaggi (il più delle volte assai conosciuti) su altri, tanto da disfarsi prontamente dei volumi da questi ultimi donati.
A sfogliarli oggi, tutti in fila, fanno un certo effetto. Una sorta di Biblioteca di Babele al contrario. Un vero e proprio ènfer collocato nei miei scaffali. O, se vogliamo, per dirla con Zafon, un cimitero dei libri perduti in scala ridotta.
Prima o poi, mi deciderò a pubblicarli in un volumetto apposito. Vi riprodurrò le dediche (con relativa documentazione fotografica, che ne comprovi l’autenticità: non voglio querele!). Sarà un libretto crudele, ma sincero. Qualcuno, inevitabilmente, se ne avrà a male. Qualche autore si offenderà con chi si è disfatto del volume inviatogli in omaggio. Qualcuno dei destinatari si offenderà, invece, con me, che ne avrò svelato la scelta crudele della repentina dismissione del regalo. Sono nomi celebri, celeberrimi (credetemi, per ora, sulla parola).
La morale? I libri non si buttano. Mai.
È così, in fondo, che i volumi si accumulano, di assiepano nelle nostre case di bibliofolli, occupano spazi vitali, si espandono come edera rampicante sui muri di civili abitazioni, ci obbligano a defatiganti discussioni con chi ha la ventura di vivere insieme a noi (mogli, mariti, amanti, figli o genitori). Ma non si buttano.
Chi, eventualmente, non si fidasse, può venire a casa mia per controllare. Non mi disfo davvero di nulla.
Quanti, dunque, volessero verificare di persona, troverebbero un libro-dono inaspettato, da me conservato in un piano (alto) della biblioteca, a memoria futura e per il piacere di sfogliarlo, ogni tanto, godendo della sua esasperata bucolicità: è una specie di autobiografia in chiave favolistica. Una via di mezzo tra l’agiografia medioevale dei santi e la soap opera sudamericana.
Lo inviò a me, come a molti altri milioni di italiani, nell’ormai lontano 2001, in piena campagna elettorale, uno dei candidati (poi risultato vincitore) alla presidenza del consiglio del nostro Paese…
In attesa dell’uscita del mio Saggi di bibliografia, ripubblico l’articolo apparso nell’ “Almanacco del Bibliofilo”, 2011, 119 – 129)
02/12/2018
L'autore
- Oliviero Diliberto è un politico, giurista e docente di Diritto romano. E' stato ministro di Grazia e Giustizia dal 1998 al 2000 e segretario del Partito dei Comunisti italiani dal 2000 al 2013.
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