Oddný Eir Ævarsdóttir (1972) è una scrittrice islandese che ha vissuto parte della sua giovinezza lontano dalla patria, specie nella Francia meridionale. Laureata a Reykjavík in filosofia politica, ha compiuto studi dottorali alla Sorbona e si è occupata di museologia islandese. In stretto sodalizio culturale col fratello archeologo Uggi Ævarsson, ha gestito spazi per le visual arts a New York e Reykjavík (Dandfruff Space), attività che l’ha portata anche a un’esperienza editoriale congiunta con Uggi, l’Apaflasa/Monkey Dandruff. Autrice impegnata nelle cause sociali più importanti degli ultimi anni in Islanda (ad es. la crisi economica del 2008), si è molto adoperata per le questioni ambientali: possiamo certamente affermare che Oddný Eir è una delle scrittrici nordiche più attive nell’ambito della cosiddetta letteratura ambientale (eco-literature). Ha all’attivo tre romanzi in cui predomina la narrazione autobiografica: Opnun kryppunnar (2000) “L’apertura della gobba”; Heim til míns hjarta (2009) “A casa dal mio cuore” e, infine, Jarðnæði (2011), Terreni (Safarà, 2016), premiato nel 2012 con il premio islandese per la letteratura di donne. Vince anche, nel 2014, il premio della Unione Europea per la letteratura. Terreni è un libro colto, zeppo di citazioni dal patrimonio letterario e culturale islandese che le note della traduttrice, Silvia Cosimini, rendono comprensibili a un pubblico italiano: al di là dell’esperienza personale narrata nel volume – una quête alla ricerca delle proprie origini familiari insieme all’individuazione di un luogo in cui piantare le proprie radici, la propria casa – il romanzo è una riflessione a tutto tondo sulla cultura islandese in un momento di svolta fondamentale nella millenaria storia di quell’isola, lacerata fra passato e tradizione da un lato e modernità e globalizzazione dall’altro. L’intervista che segue percorre questi sentieri.
“Nel tuo romanzo descrivi una sorta di pellegrinaggio attraverso l’Islanda alla ricerca delle origini delle radici famigliari, il cui ricordo delle genealogie sembra dissolversi nel tempo. Ti andrebbe di spiegare il tuo rapporto con il passato della tua famiglia?”
Sì, ho un legame molto forte con la mia famiglia. Così come in Italia anche in Islanda le famiglie rappresentano dei punti focali, ma a volte ho come l’impressione che la mia famiglia sia, per così dire, particolarmente italiana, forse perché mia madre ha vissuto in Italia e ne è rimasta fortemente influenzata. Lei viene da una grande famiglia che ha mantenuto in vita molte tradizioni, una famiglia molto attenta all’aspetto culturale, che ha dato del suo meglio per ricordare tutti i riti della campagna dalla quale venivano quando abitavano già a Reykjavík, la città. Suo padre e i suoi zii erano particolarmente bravi a trovare un senso al loro passato, ma sua madre, mia nonna, che veniva da una grande e forte famiglia dei fiordi orientali, non faceva quasi mai menzione della propria famiglia, in parte perché non voleva mettere in secondo piano il maestoso albero genealogico del marito, dato che la sua famiglia era ancor più acculturata, oltre che quasi aristocratica, sebbene di fatto una vera e propria aristocrazia non esista in Islanda. Ciò nonostante, il passato di mia nonna è riuscito a farsi strada attraverso i suoi canti e i suoi racconti di storie assurde, ma capimmo solo molto più tardi quanto lei fosse profondamente radicata in questa forte cultura del raccontare storie.
E poi c’è la famiglia di mio padre. Lui è cresciuto al nord con i suoi genitori adottivi, con sua madre che era in realtà la sorella della sua vera madre. Suo patrigno lavorava nella fattoria ma il suo vero padre era un tipo a dir poco curioso, un insegnante con forti ascendenze musicali e poetiche proveniente dalla famiglia di un famoso poeta e scaldo. Ma tutti i componenti di quella famiglia sono o sono stati poveri e sfortunati. E sì, quando ero un’adolescente volevo sapere tutto dei miei nonni, ma anche poi dei loro nonni…
È difficile da comprendere ma creare alberi genealogici è una sorta di sport nazionale, così quando ho dato un’occhiata al mio online sono rimasta affascinata da quanto fossero completamente diversi i miei bisnonni e dal fatto che avessero vissuto per tutta l’Islanda in ogni tipo di condizioni. Di certo hanno commesso tanti errori nelle loro vite ma è come se fossero riusciti a infondervi una qualche sorta di significato poetico! Ho creduto che avrei imparato qualcosa di profondo nell’andare in quei luoghi dove quella gente ha provato a condurre la vita di una famiglia felice. Ho pensato che avrei avuto la necessità di entrare in contatto con i loro ambienti, con la stessa terra dove loro hanno vissuto. E ho imparato che le persone che migrano sono inclini a desiderare di fare ritorno proprio nel luogo delle loro origini e toccare con mano la terra anche quando non fossero rimaste che le macerie di una casa. E ho imparato che molto spesso le persone cominciano a piangere non appena toccano quella terra.
Mia madre era solita cercare delle tendenze o degli elementi per poi vederli scorrere come un filo attraverso le generazioni. Mio padre diceva che queste erano solo stronzate e che uno doveva piuttosto preoccuparsi di fare qualcosa di nuovo per conto proprio. Entrambi cercano di catturare l’attimo e la novità per farle durare nel futuro, o farne una base per il futuro, mio padre da energico programmatore radio e mia madre da artista figurativa all’inseguimento della natura in perpetuo divenire dell’Islanda. Credo che volessi fare qualcosa per conto mio, seguire la mia strada e trovare la mia personale motivazione. Ma poi c’è stato un momento di crisi personale, e anche il mio paese era in una profonda crisi, e ho avuto bisogno di trovare le mie motivazioni da un’altra prospettiva, di cercare questi elementi nel mio passato, nella mia famiglia e, in generale, nel passato dell’Islanda. L’albero genealogico della mia famiglia è in qualche modo interconnesso ad altri alberi genealogici come descritto da Deleuze. Avevo bisogno di trovare i miei punti di forza e le mie debolezze, avevo bisogno di toccarli e ricominciare da lì, dalla terra e dall’archivio.
Sono stata molto fortunata ad avere la possibilità di stare per lunghi periodi con le mie nonne. Una viveva proprio al nord e per diverse estati siamo state insieme io e lei. Ma ero molto legata anche all’altra mia nonna. Quando sono andata in visita dalla terza aveva appena bruciato i suoi diari, ma me li avrebbe dati molto volentieri quando imparò a conoscermi. Questa faccenda della distruzione dei diari è stata un vero shock per me.
Un altro aspetto del tuo libro che tocca nel profondo è la relazione simbiotica con tuo fratello. Sembra che nessun partner possa soddisfare completamente certi bisogni esistenziali. In altre parole, lui è l’unica persona con la quale tu sei cresciuta che può conoscerti a fondo?
No, non credo che solo le persone con le quali cresciamo possano conoscerci a fondo, anzi, a volte sono proprio questi ultimi a non conoscerci affatto. Mi è capitato di nascere in una famiglia che apprezza l’intimità, ma diciamo che i miei genitori, in mancanza di un qualche tipo di intimità, hanno provato fortemente a costruire una famiglia unita, ma diciamo piuttosto che mia madre ci ha provato e che mio padre solo in seguito si sia reso conto di questa missione. Quando eravamo piccoli abitavamo nel sud della Francia e, dato che questo era un periodo particolarmente difficile per i nostri genitori, credo che il nostro rapporto sia divenuto ancora più forte, e ci davamo manforte a vicenda a prescindere. Mi ricordo di questo profondo sentimento di protezione nei suoi confronti dal mondo esterno quando ancora non parlavamo neanche la lingua, E in seguito lui ha fatto lo stesso per me, e ha provato a proteggermi quando io ero circondata da persone che non capivano cosa stessi dicendo. In qualche modo abbiamo sempre capito la lingua l’uno dell’altra, e questo fatto è così raro e importante da far ridere e piangere di gioia il tuo spirito. Ma per anni ho avuto paura che potesse accadergli qualcosa di brutto, che potessi perderlo. Ho provato a rilassarmi. La solitudine in contrasto con la città.
Quanto gli islandesi sono attratti dalla campagna e dalle solitudini deserte?
Siamo così assuefatti agli spazi che non ci rendiamo conto di quello che abbiamo a disposizione. E siamo sì attratti dalla terra incontaminata e dalle solitudini deserte, e alcuni dicono che si tratti di qualcosa di nuovo, che sia un lusso. Ma mio fratello in quanto archeologo ha una teoria che al nord più estremo, dove è cresciuto nostro padre, la gente non si fosse stabilita solo per la disperazione causata dalla mancanza di terra, ma anche per il bisogno di trovarsi lontani e in ambienti magnifici con un ampio panorama. A Reykjavík, la nostra capitale, siamo molto vicini alla natura: ci basta camminare o prendere la macchina per pochi di minuti per arrivare nella natura, che sia il mare o che sia la montagna. Molti vanno a scalare ogni settimana. Quando dico che siamo assuefatti intendo dire che forse non ci rendiamo pienamente conto di quanto siamo fortunati e di quanto sia formidabile la nostra natura, pensiamo di potercela giocare d’azzardo, vendercela alle industrie e allo stesso tempo tenercela. Ma penso che ad un certo punto dovremmo prendere una decisione.
Nel romanzo metti in luce alcune possibilità per il futuro, e proponi in particolare una riconciliazione con la natura ed uno stile di vita auto-sostenibile, in molti casi in nuove comunità. Non pensi che questa tua visione possa essere vista come una nuova utopia?
Penso che tu abbia ragione, è un nuovo tipo di utopia, e continuo ancora a crederci.
Che ruolo gioca il passato letterario medievale islandese nella tua produzione letteraria?
Resta lì come una terra desolata ferma alle mie spalle, è la mia fonte, anche se non l’ho letta. Non si conosce sempre la fonte dalla quale sgorga l’acqua, ma sai che si trova lì e non vuoi che scompaia dal tuo mondo. Mio padre di solito leggeva le saghe ad alta voce e mio fratello ne conosce alcune a memoria. Io, al contrario, mi addormentavo sempre, ma non perché fossero noiose, bensì a causa della voce rilassante di mio padre. Tornando all’argomento della letteratura: in tutto il mondo l’Islanda è celebrata per le sue saghe e per i testi eddici.
Continuando a parlare di letteratura. In tutto il mondo l’Islanda è conosciuta per le sue saghe e per i testi eddici. Si sa ben poco di molti altri autori che citi nel tuo romanzo. Pensi che sia la lingua islandese a porre un freno alla ricezione di queste opere letterarie o che siano gli stessi autori islandesi ad essere lontani dagli interessi mondiali?
Bella domanda! Domanda difficile! Forse entrambi i motivi sono validi, o forse nessuno dei due. Penso che sia un tipo di ragionamento canonico (ma esiste poi questo termine, canonico? Intendo la tendenza a cercare canoni nella letteratura) che impedisce a molta buona letteratura di essere ripubblicata in Islanda e poi di essere tradotta. Confido nei lettori di tutto il mondo di apprezzare alcuni di quei testi che alcuni dicono essere troppo islandesi. Ma io non lo so, non sono un addetto alle vendite. E alcune delle citazioni nel mio libro sono lì perché volevo far sì che la gente se ne ricordasse perché è andato perduto. Sono una collezionista di libri al limite dell’ossessione; per questo motivo a volte leggo libri che sono stati pubblicati da molto tempo o da pochi anni, alcuni scritti da donne, altri dimenticati, e mi piaceva l’idea di aggiungerli al mio libro e far sì che esso diventasse come una sorta di archivio… Infatti non mi ero neanche sognata che qualcuno potesse voler tradurre il mio libro, non pensavo neanche che qualcuno in Islanda avrebbe voluto leggerlo. Ho visto la pubblicazione di questo libro più come il compito di un’archivista che deve fare il suo lavoro.
In Islanda, in parte anche a causa del grande successo del romanzo giallo, c’è un’enorme produzione di romanzi di diverso valore letterario. Perché le case editrici islandesi sono così accondiscendenti a stampare così tanti libri?
Per rispondere a questa domanda dovrò chiamare un mio amico. Sono un membro del sindacato degli scrittori e ne sono stata al centro per un po’, cercando di proteggere i diritti degli scrittori in questa tempesta di pubblicazioni. Comunque sia, non lo so, mi dispiace. Te lo farò sapere appena ne so qualcosa… Penso che sia tipo una di quelle peculiarità nazionali di fare ogni cosa in base alla stagione, andare sull’erba quando il sole splende, e andare a pesca quando non c’è tempesta. E quando c’è l’oscurità più totale pubblicare moltissimi libri impegnandosi a fare qualcosa di importante invece di stare lì a deprimersi.
Nel romanzo sei nauseata dalla presenza del turismo dagli altri paesi. Perché? Il problema è il turismo di massa o un certo tipo di turista in cerca solo di una rappresentazione stereotipata dell’Islanda, magari della sua natura, del suo lato selvaggio, del clima freddo? O si tratta di qualcos’altro?
Mi dispiace se tu ed altri lettori avete inteso in questo modo. Mi scuso se ho scritto in questo modo, ma non sono affatto disgustata dalla presenza di turismo dagli altri paesi! No, al contrario, sono molto contenta del fatto che ci siano persone che vengano a vedere la nostra natura e a conoscere la nostra cultura. Se c’è qualcuno che mi disgusta siamo proprio noi, gli islandesi. Abbiamo la tendenza a fare del “turismo”, come qualsiasi altra cosa, una questione esagerata. E a volte c’è di mezzo l’avidità. Dovremmo ricordarci della fantastica ospitalità invece di guardare al turismo semplicemente come una fonte di guadagno. Questa è la mia preoccupazione. Ma capisco che forse tu ti stia riferendo alla mia riluttanza riguardante l’uomo d’affari cinese che voleva comprare quel grande pezzo di terra su al nord dove io e mio fratello stavamo durante la stagione della figliatura delle pecore. Sì, credo che questa terra desolata, questa terra bellissima, dovesse essere comprata dallo stato e resa parte del Parco Nazionale. Ma ormai è venduta ad un inglese che è famoso per i suoi disastri ambientali. Mi è dispiaciuto veramente un sacco venirlo a sapere l’altro giorno! E di certo non ho niente contro gli inglesi o i cinesi, né contro gli stranieri, oh no, al contrario. Ma sono contro le grandi aziende alle quali non importa un cazzo della terra o dell’acqua per i nostri futuri figli. E se succede qualcosa, qualcosa di brutto, citarli in giudizio è impossibile, hanno tutti i migliori avvocati. In Argentina stavo camminando con della gente per protestare contro l’assenza di responsabilità di un grande stabilimento industriale. Molti bambini sono nati con malformazioni causate dall’inquinamento ma nonostante questa gente, le persone comuni di questa area, abbiano protestato per anni e assunto centinaia di avvocati, non sono mai riusciti ad attribuire all’azienda le sue responsabilità. Finora nessuna risposta. Ma dovremo pretenderla. Dovremo lottare per averla.
Un’ultima domanda. L’Islanda, in qualche modo, ha superato la crisi del 2008. Ma gli islandesi hanno superato la crisi nella loro mente? Hanno ricostruito una comunità sociale su nuovi pilastri o il futuro è ancora oscuro? Gli islandesi stanno immaginando un futuro utopico o distopico? O niente di tutto questo?!
Sì, l’abbiamo superata, ma alcuni dicono che presto ci sarà una nuova crisi. Abbiamo la tendenza a vivere aldilà di noi stessi, che di certo è qualcosa di rigenerante ma è anche qualcosa di pericoloso. Ora abbiamo tutti a che fare con il turismo e sono così contenta che così tanta gente voglia venire qui. Ma non siamo pronti, non ci sono abbastanza bagni, abbastanza strade, abbastanza cartelli stradali. Ma ci sono molti hotel. Alcuni dicono che non ci saranno più crisi. Speriamo di no. Si vedrà.
(traduzione di Giacomo Bucci)
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L'autore
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Alessandro Zironi è professore ordinario di Filologia Germanica presso l’Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Nella sua carriera accademica ha prestato servizio anche presso gli atenei di Padova e Ferrara. Possiede il titolo di dottore di ricerca in Germanistica (Filologia germanica). La sua attività di ricerca si concentra sulle lingue e letterature gotica e longobarda; sulla ricezione e riscrittura della tradizione culturale germanica in età moderna e contemporanea; sugli aspetti culturali germanici all’interno dei testi alto medievali. Si occupa inoltre delle relazioni fra la cultura germanica all’interno del più ampio contesto rappresentato dal mondo europeo medievale. Analizza i testi germanici con metodologie filologiche, linguistiche e comparative al fine di recuperare il contesto culturale in cui furono prodotti e/o copiati.
Fra le sue pubblicazioni: L’eredità dei Goti. Testi barbarici in età carolingia (Spoleto 2009); Il monastero longobardo di Bobbio. Crocevia di uomini, manoscritti e culture (Spoleto 2004); I Longobardi gente germanica, in I Longobardi in Italia: lingua e cultura (Alessandria 2015); William Morris and the Poetic Edda, in Studies in the Trasmission and Reception of Old Norse Literature (Turnhout 2016); Il Carme di Ildebrando: un padre, un figlio, un duello (Milano 2019).
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