Gonzalo Hermo (Taragoña, Rianxo, 1987) si è laureato in Filologia Galega presso l’Università di Santiago de Compostela, dove, oltre ad insegnare, svolge la sua tesi di dottorato. I suoi primi testi sono stati pubblicati nelle riviste Dorna e Revista das Letras. Ha dato alle stampe i libri di poesia Crac (Barbantesa, 2011, premio Xuventude Crea da Xunta de Galicia) e Celebración (Apiario, 2014, Premio della Critica). Nel 2014 è stata presentata la versione filmica di Crac, diretta da Lázaro Louzao. Le sue poesie sono state tradotte in spagnolo in diverse riviste e antologie, come Novas de poesía (coordinata da Ana Gorría per Fundación Uxío Novoneyra) o >Como cantan las piedras (Puerto Rico, Isla Negra). È anche attivo in rete attraverso il blog personale, Tomando notas nunha escola para resentid@s.
È inevitabile riferirsi al Premio della Critica Spagnola 2014, assegnato alla poesia in lingua galega, che ti è stato concesso per il secondo libro di poesie, Celebración. Ti aspettavi questo riconoscimento e dei commenti così positivi come quelli che hai ricevuto? Ti è facile scrivere dopo tutto questo?
Non mi aspettavo una ricezione così favorevole, tra le altre cose perché intuivo che Celebración sarebbe potuto non piacere a quelle persone a cui era piaciuto Crac. Se devo essere assolutamente sincero, avevo paura che il nuovo libro si leggesse in chiave conservatrice, come una sorta di passo indietro rispetto al primo. Ho avuto la fortuna di essere capito e nulla di tutto ciò è successo: Celebración mi ha avvicinato a nuovi lettori e penso di non aver perso quelli che avevo. sul Premio della Critica, sono consapevole del fatto che ci sono stati due fattori che hanno giocato a mio favore: da una parte, il riconoscimento all’iniziativa editoriale che rappresenta Apiario, dall’altra, la scommessa strategica da parte della critica per promuovere la poesia scritta dai giovani. In ogni caso, si tratta di un premio assegnato ad un’opera in concreto e a me in quanto suo autore. Sono molto riconoscente, ma il senso di responsabilità, d’ora in avanti, sarà maggiore.
Celebración è il primo pubblicato dalla casa editrice Apiario, diretta dalle poetesse Antía Otero e Dores Tembrás, che seguono il processo di edizione in un modo molto oculato e artigianale. Perché hai scelto questa casa editrice? Cosa ti ha fatto propendere per questa casa editrice rispetto ad altre ben più consolidate?
Le condizioni messe sul tavolo da Antía e Dores erano difficili da rifiutare. La poesia ha sofferto i danni causati dalla crisi in quanto a volume di pubblicazioni, ma anche nella qualità delle edizioni. Al contrario, Apiario ha reagito rivalorizzando il libro come oggetto, blandendo l’edizione. Penso sia una scommessa intelligente: il pubblico della poesia in galego è ridotto, ma fedele ed esigente. Con la dinamica venutasi a creare negli ultimi anni, durante i quali si sono pubblicati fondamentalmente vincitori di premi letterari in edizioni il più possibile economiche, si è disattesa questa realtà. Credo sia una fortuna per la letteratura galega che esista Apiario. Abbiamo una poesia di una qualità molto alta e il sistema editoriale che avrebbe dovuto sostenerla, in generale, non è stato all’altezza.
Si è detto in molte occasioni, e tuttora vige questo luogo comune, che la poesia sia stata il genere per eccellenza della letteratura galega. Anche autori non galiziani hanno elogiato la qualità della sua lirica. Sei d’accordo?
Le esperienze che ho avuto nel portare la poesia galega al di fuori dei nostri confini, sono sempre state positive. Mi riferisco ai recital, a qualche conferenza che ho tenuto offrendo una visione panoramica [NdT: della poesia galega], o a livello di suggerimenti a titolo personale. siamo dei perfetti sconosciuto, anche all’interno del contesto statale [NdT: spagnolo], e ho l’impressione che su di noi si mantengano due pregiudizi opposti e, allo stesso tempo, complementari: da un lato, si considera che facciamo una poesia che segue fedelmente le mode della poesia in castigliano, dall’altro, ci immaginano scrivendo coplas e muiñeiras. La poesia galega possiede una tradizione di rottura che risale a Rosalía de Castro e che si estende fino al presente. Ciò che sorprende è la libertà di quando ci mettiamo a scrivere. E sì, penso che, sebbene in Galizia esistano poeti più o meno buoni, come un po’ ovunque, in generale si scrive un tipo di poesia disposta ad assumere dei rischi, probabilmente perché non abbiamo nulla da perdere.
Secondo te, cosa servirebbe affinché la poesia galega possa trapassare le frontiere della propria lingua?
Ho la sensazione che la possibilità di uscire fuori dipende spesso dal cerchio di relazioni personali che un autore (o la casa editrice che lo appoggia) intrattiene con i principali agenti di altri sistemi letterari. È pur vero che una poesia galega che non possiede un’opera di qualità, difficilmente sarà tradotta in inglese o spagnolo, ma bisognerebbe essere molto ingenui per pensare che la qualità sia l’unico criterio in ballo. La prova di tutto ciò sta nel caso di poeti canonici in Galizia che non godono di molta fortuna fuori. Per ottemperare a questa mancanza, dovrebbe esservi una politica culturale indirizzata a tendere ponti con altri sistemi letterari e a facilitare i processi di traduzione. Qualsiasi diffusione e successo che si ottenga fuori, si ripercuote all’interno in termini di attenzione e rivalutazione del genere e dei suoi creatori.
Celebración, nonostante l’ottimismo del titolo, sembra scaturire come verbalizzazione della coscienza della perdita, della fine di qualcosa, senza specificare che cosa. Ciò che cercavi era una lettura aperta o proprio astratta?
Non mi piace sottostimare i lettori, né mi interessano i discorsi masticati. Credo nella lettura come una faccenda attiva nella stessa misura in cui lo è la scrittura. La mia opera non nasce dal nulla, c’è un uomo che mangia, vive e respira. Ma allo stesso tempo penso che le circostanze vitali che mi portano, per esempio ad interessarmi al senso di perdita, non devono importare. Dovrebbe interessare il discorso che sviluppo attraverso il libro. Credo nel valore dei testi letterari ben oltre la biografia dei suoi autori e, per questo motivo, sulla copertina di Celebración non appare il mio nome. Non è un gesto di modestia, è una richiesta di attenzione chiara a coloro che si approssimano al libro. Come se stessi dicendo ai lettori: “Occhio, qui non ci sono né capitani né marinai, solamente c’è una nave”.
Nella celebrazione che accompagna il sentirsi liberi, sembra perdersi la forza, l’intensità emotiva. Va letto in questo senso il verso “Non amaremos a ruína como amamos a culpa” [Non amiamo le rovine come amiamo le colpe]?
La vita nuova che si delinea nella poesia che menzioni, ha a che vedere con non lasciarsi soccombere dalla saudade. È una vita senza colpe e senza malinconia (l’una e l’altra camminano ogni giorno mano nella mano), senza la tentazione di voler cadere nella contemplazione estasiata delle rovine. La malinconia ci immobilizza e ci impedisce di godere della vita. Penso che il presente ci stia indicando la necessità di un soggetto diverso dal poeta cantore del paradiso perduto: un soggetto libero, allegro e attivo.
Celebración è composto da parole, ma anche da immagini molto potenti. Chi legge può visualizzare un universo freddo, affrescato da bianchi immacolati sotto minaccia costante dell’oltraggio della macchia latente. Succede qualcosa di simile in Crac. Infatti, è stato realizzato un cortometraggio basato nel tuo primo libro di poesie. Che importanza hanno le arti visive nella tua opera?
Mi hanno detto che la mia poesia è molto visiva. È qualcosa che continua a sorprendermi perché ho la percezione che sia più sensoriale che visiva, che penetra attraverso la pelle prima che dagli occhi. Le poche cose che conosco sull’immagine mi provengono dal cinema. È l’espressione artistica che meglio conosco e con la quale di più mi diletto, a braccetto con la letteratura.
Fra i molteplici giochi degli opposti che attraversano il libro, si trovano quelli della razionalità e dell’emozione, della mente e del cuore. A chi vedendo un cigno reagisce “medíndolle o contorno por brazadas” [misurandogli il contorno con bracciate], si oppone chi gode della sua bellezza. A volte è necessario prescindere della ragione?
Passiamo la vita mantenendoci sospesi su questo equilibrio, o no? Ne siamo soggetti nella misura in cui siamo sorretti da un ordine sociale che regge i principi della nostra relazione con il mondo, ma contemporaneamente siamo corpi desideranti le cui pulsioni rifuggono dalla coscienza razionale. Non credo che esista nessuna arte che si occupi del genere umano, che sia estranea a questa tensione fra cuore e mente.
Crac sembra più trasparente e con una maggiore carica di critica sociale, addirittura si percepisce una rivendicazione delle identità minoritarie, collettive e personali. In che cosa si somigliano i due libri e in che differiscono?
In Crac si trovavano l’Hiroshima di Marguerite Duras, la Parigi di Cocteau o la Galizia del dopoguerra di Ferrín. È una scrittura concepita partendo dalla scrittura dei maestri, in sintonia con le correnti che scommettono nella rilettura dei grandi discorsi della modernità con gli occhi ben aperti. Dal mio punto di vista, questa strategia si è esaurita. Se la Storia non è finita con la caduta del muro di Berlino, neanche la storia della poesia è finita. Non possiamo accontentarci di glossare le glorie passate, dobbiamo creare nuovi orizzonti. Aldilà del fatto che ci sia riuscito o meno, Celebración parte da questa premessa innovatrice: esistono nuove possibilità per l’arte, nuove forme e discorsi da esplorare per la poesia.
In Crac appare una violenza più esplicita, quella del servo e quella del sadico, rispetto a Celebración, dove è sostituita da una tensione più contenuta. Ciò si riflette nell’evoluzione del rapporto corpo-scrittura. Infatti, in Crac, il registro scritto appare come regolamento di conti all’inizio e alla fine del libro. Nel primo testo si legge “o meu poema é só un acto de vinganza” [la mia poesia è solo un atto di vendetta], mentre nell’ultimo “E se volvo será para fenderte á metade de vez / e enterrar para sempre esta escrita afectada” [E se torno, sarà per tagliarti a metà in un colpo / e sotterrare per sempre l’artificio di questa scrittura]. Che importanza possiede nella tua opera l’interazione tra corpo, scrittura e memoria?
Importanza? Assoluta. Non riesco a uscire da queste tre realtà il cui mutuo coinvolgimento mi continua a sembrare un enigma. Siamo animali linguistici. Possediamo la capacità di ricordare. E, oltretutto, scriviamo. C’è qualcosa di affascinante in tutto ciò e che spero che non saprò mai spiegare, altrimenti è molto probabile che smetterò di scrivere.
Nella tua opera si percepiscono molti riferimenti, citati o meno, alla cultura contemporanea. Se dovessi scegliere, con quali autori o correnti della lirica attuale ti identifichi maggiormente sia dentro che fuori dalla Galizia?
Da tempo la nozione di qualità letteraria è messa in discussione da diverse prospettive non immanenti della letteratura. Sono d’accordo sul fatto che bisogna riconoscere le molte sfumature di questo concetto, ma nemmeno posso negare che quando leggo una buona poesia, questa considerazione mi affiora in maniera incontestabile. Mi interessa la poesia che mi spinge a riformulare i miei propri schemi mentali e autoriali, quella che mi fa interrogare e mi mette in discussione, o quella che mi offre un momento di bellezza. Ciò che chiedo a un libro di poesia è, che, quanto meno, abbia un discorso che lo sostenga. Tutto il resto mi risulta vuoto.
(traduzione italiana di Marco Paone)
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L'autore
- Inma Otero Varela (Carral, 1976) è attualmente professoressa di Lingua e letteratura galega nelle scuole superiori. È stata lettrice di galego nell’Università “La Sapienza” di Roma dal 2003 al 2008. Collabora come critico letterario in “Grial” e “Novas do Eixo Atlántico*. Ha pubblicato studi sulla narrativa galega in svariati volumi e riviste scientifiche (“Critica del Testo”, “Anuario de Estudos Literarios Galegos”, “Boletín Galego de Literatura).
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