Massimo Arcangeli, linguista, critico letterario e sociologo della comunicazione, insegna all’Università di Cagliari. È garante per l’Italianistica nella Repubblica Slovacca e componente del collegio di dottorato in “Linguistica storica e Storia linguistica italiana” della Sapienza Università di Roma. Collabora con la Società Dante Alighieri, l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani e le maggiori testate giornalistiche nazionali. Il suo ultimo libro è Biografia di una chiocciola. Storia confidenziale di @ (Roma, Castelvecchi, 2015)
Sei tra gli ideatori del festival di Civita di Bagnoregio “La parola che non muore”. Ce ne vuoi parlare?
Perfino il “New York Times” ha parlato, qualche mese fa, di Civita. Un paese che non vuole morire, ma anche un simbolo naturale della cultura che resiste, attraverso la conservazione caparbia di una memoria che si tramanda da secoli. Ne è così nata un’iniziativa, diretta da chi scrive e da Giancarlo Liviano D’Arcangelo, sulla “parola che non muore” (www.laparolachenonmuore.com). Tre giorni d’incontri (2-4 ottobre) per avviare a Civita di Bagnoregio riflessioni e letture fra narrativa e poesia, cinema e saggistica, lavoro critico ed esperienza personale, come primo passo per la realizzazione di un progetto di più ampio respiro che ha approfittato di un anno significativo per una doppia ricorrenza: il cinquecentosessantesimo da quel 1455 cui si attribuisce il primo esemplare sopravvissuto della Bibbia di Gutenberg, quella a 42 righe per pagina uscita dalla sua officina; il settecentocinquantesimo dalla nascita di Dante.
La parola che non muore è un progetto che parte dalla necessità della conservazione della memoria libraria, letteraria, poetica, ecc. Nella manifestazione la poesia, che negli ultimi mesi è stata al centro di un animato – e in alcuni casi aspro – dibattito sulla presunta morte dell’oggetto sul quale si fonda e si esercita, è stata chiamata innanzitutto in causa da un’esperienza di lettura che ha visto coinvolti alcuni poeti italiani di maggior esperienza, ognuno dei quali ha letto sue composizioni e ha portato con sé un “testimone”: un poeta giovane o inedito, al quale è stata data voce perché avesse anche lui la sua voce. Hanno arricchito il tutto varie iniziative centrate sulla parola (la parola etica, per riflettere su una narrativa chiamata da più parti a rispondere di una “moralità” di cui farsi seriamente carico; la parola immaginata, per aprire una piccola finestra su possibili scenari culturali o esperienziali; parole senza barriere; una sezione dedicata al reportage come racconto del mondo; ecc.), e nei tre giorni di svolgimento del festival una telecamera ha registrato gli interventi di chi, lì presente, ha voluto dichiararsi cittadino virtuale di Civita e ha voluto regalare uno o più volumi da accogliere in una futura Casa del libro.
“Io vivo a Civita perché Civita viva, e ho deciso di regalare…”: questa la formula che ha aperto ogni dichiarazione, seguita dalla motivazione della scelta. Si è dichiarato cittadino virtuale di Civita anche chi ha voluto inviare alla nostra pagina Facebook una foto o un breve filmato che lo ritraesse con uno dei libri scelti, accompagnati da una dichiarazione che motivasse la sua scelta. Tutto questo nella speranza di non far morire, e di veder anzi rinascere, uno splendido borgo che tutto il mondo c’invidia.
Questa iniziativa resta confinata nel borgo medievale di Civita o può essere esportata anche altrove?
La stiamo già esportando altrove, con la costruzione di una rete che coinvolgerà vari luoghi che possano ricordare Civita (perché meritevoli di essere riabilitati o altro). Luoghi italiani, ma anche europei. In una fase di tagli di bilancio, diventa fondamentale fare un gioco di squadra.
Quali sono, a tuo avviso, i passi successivi?
Ribadendo quanto ho appena detto, che è perfettamente in linea con la prima parte della tua domanda: il primo passo da farsi è la costruzione di una rete, fatta di persone motivate dalla passione per la cultura, dall’amore per il libro, dal senso civico e di responsabilità. Il secondo è l’inaugurazione della Casa del libro cui accennavo. Una casa, aperta a tutti, nella quale far confluire i libri regalati a Civita. Una casa che un mese all’anno (quello in cui non sarà aperta al pubblico) si trasformi in residenza per un poeta, uno scrittore, uno studioso, un giornalista, un regista o un artista perché ne faccia, per quel mese, luogo di ritiro, di concentrazione, di riflessione per il suo lavoro. Chi deciderà di volerla abitare per quel mese diventerà cittadino onorario di Civita e avrà un attestato di merito per aver reso un servizio alla cultura libraria e alla circolazione delle idee.
L’Università può avere un ruolo nella creazione di una rete?
L’università, in tutto questo, svolge un ruolo fondamentale. A una condizione, però: che interagisca davvero con il territorio, senza aver paura di mettersi in gioco.
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L'autore
- Carlo Pulsoni è il coordinatore di Insula europea (http://www.insulaeuropea.eu/carlo-pulsoni/).
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