Giovanni Solimine è professore ordinario di Biblioteconomia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma La Sapienza. Si occupa in particolare di progettazione e gestione di servizi bibliotecari, biblioteche digitali, promozione della lettura. Ha presieduto l’Associazione Italiana Biblioteche e attualmente è presidente del Forum del libro e membro del Consiglio superiore dei beni culturali del MiBACT. Collaboratore di numerose riviste di biblioteconomia italiane e straniere, è autore di numerose monografie. L’intervista che segue trae spunto dall’uscita del suo ultimo libro Senza Sapere. Il costo dell’ignoranza in Italia (Roma-Bari, Laterza, 2014), una lucida e approfondita ricognizione sulla stato della cultura nel nostro paese.
Il saggio Senza Sapere affronta il problema dei costi causati dall’ignoranza, quale è la situazione oggi in Italia?
I costi dell’ignoranza sono di vario tipo, e tutti molto pesanti. A causarli è il basso livello di competenze linguistico-espressive, logico-matematiche o nel problem solving; è la scarsa familiarità con gli strumenti di rete; è il basso numero di laureati e diplomati; è la dispersione scolastica: in tutti questi ambiti facciamo registrare forti ritardi. Questa situazione produce costi economici veri e propri (basso livello di sviluppo, basso livello di produttività, debole innovazione, ecc.), costi individuali (marginalizzazione, precarietà, insicurezza, mancanza di autonomia, condizione di sudditanza, ecc.) e costi sociali (scarsa partecipazione alla vita della collettività, spese a carico del sistema di welfare, criminalità, ecc.). Ma i costi indiretti sono numerosissimi e a volte impensabili, come i cattivi comportamenti alimentari, o l’abitudine a ricorrere con ritardo alle cure mediche con conseguenti maggiori costi per il servizio sanitario.
Parafrasando il sottotitolo del volume “il costo dell’ignoranza in Italia”, non crede che anche il “costo della cultura” sia un limite alla partecipazione di tutti alla vita culturale del nostro paese? E questo quanto incide nei processi di democrazia?
Sicuramente la crisi sta picchiando duro e riduce di molto la capacità di acquisto. Ma in linea di massima, credo che questo aspetto non incida molto. In tutte le indagini sul non uso di alcuni servizi culturali o sulla debole partecipazione alla vita culturale, il costo non figura mai tra le principali motivazioni indicate dagli intervistati. Se pensiamo alla lettura, ad esempio, il prezzo medio di copertina dei libri italiani è fermo da tempo, anzi in leggero ribasso, e si attesta intorno ai 20 euro; è anche aumentata di molto la disponibilità di titoli che costano meno di 10 euro.
Piuttosto, va detto che forse va diffondendosi un atteggiamento, in parte indotto dalla grande disponibilità in rete di contenuti accessibili gratuitamente: penso che la gente non sia più disponibile a pagare.
Ma bisogna ricordare che l’industria della creatività ha le sue regole e, senza un’equa remunerazione di chi vive di questo lavoro (autori, editori, librai), c’è il rischio che si arresti la produzione culturale.
Quali responsabilità ha avuto la scuola nel generare questa situazione e quale ruolo nuovo potrebbero rivestire nel colmare questo vuoto di conoscenza e saperi?
La scuola riveste un’importanza notevole, nel bene e nel male. Ha avuto una funzione estremamente positiva dagli anni ’50 agli anni ’80, quando ha accostato milioni di persone alla fruizione culturale (non bisogna mai dimenticare che nel 1965 in Italia solo il 16,5% dei cittadini leggeva un libro all’anno). L’istruzione è stato per decenni il principale motore della mobilità sociale. Se ora ha smesso di esserlo, è perché sono cambiati i valori di riferimento e perché “essere istruiti” in Italia rende meno che altrove, ma anche perché il nostro sistema produttivo e la nostra pubblica amministrazione non sono capaci di assorbire chi ha competenze molto qualificate, per il semplice fatto che… non ne abbiamo bisogno: il nostro sistema non è fondato sulle competenze.
Ma la scuola ha anche grosse responsabilità, per non riuscire ad esercitare una funzione di riequilibrio rispetto all’origine familiare o ad altri fattori di disuguaglianza e discriminazione, nel non riuscire a mostrarsi davvero utile, nel non riuscire ad interessare e appassionare i giovani. Ciò dipende a mio avviso da due fattori: i nostri insegnanti sono i più anziani d’Europa e da oltre quindici anni l’Italia non incrementa gli investimenti in istruzione.
Non deve sorprenderci, quindi, se la scuola ha perso smalto e non riveste più una posizione centrale rispetto all’esperienza quotidiana degli adolescenti.
Nel libro è centrale il riferimento all’information literacy. Perché è importante l’alfabetizzazione informativa?
L’information literacy costituisce la capacità di recuperare l’informazione attuando strategie efficaci, selezionare e valutare l’informazione recuperata, usarla consapevolmente, organizzare e rielaborare i contenuti, saper presentare e comunicare i risultati del proprio lavoro. Si tratta, quindi, delle competenze più qualificanti per essere cittadini realmente inclusi nella società del XXI secolo.
In che modo Internet può contribuire a migliorare le nostre conoscenze?
Internet offre straordinarie opportunità, ma richiede capacità d’uso, se vogliamo accostarci con spirito critico ed usare consapevolmente questo potentissimo strumento per accedere ad una enorme quantità di contenuti.
In un contesto come quello di oggi, quale ruolo hanno le biblioteche? In quale direzione dovrebbero muoversi per essere protagoniste di un cambiamento positivo che inverta la rotta intrapresa verso l’ignoranza?
Sono convinto che le biblioteche rivestano una funzione formativa e credo che proprio l’information literacy, di cui si parlava un attimo fa, sia il terreno principale su cui dovrebbero lavorare. Ovviamente, si tratta di un lavoro da fare insieme alle scuole, ma la biblioteca – e in particolare la biblioteca pubblica – può essere il mezzo attraverso il quale raggiungere chi è fuori dai tradizionali circuiti formativi. In Italia non si è mai praticata la formazione continua, la formazione degli adulti e in questo le biblioteche possono dare un contributo fondamentale.
Nel suo libro evidenzia la necessità cogente per il nostro paese, soprattutto in un periodo come questo di forte crisi, di iniziare ad esercitare una “politica della conoscenza”. In quali ambiti e in che modo si deve maggiormente investire per risanare questa situazione?
Dicevo prima che il nostro paese ha tagliato per oltre quindici anni gli investimenti nella scuola; lo stesso vale per l’università e per il sistema pubblico della ricerca, o per l’aggiornamento dei lavoratori.
Vediamo invece che tutti i paesi che stanno crescendo e che desiderano crescere – così come quelli che desiderano mantenere posizioni di primo piano nella knowledge economy – rafforzano il loro impegno in questi settori. Senza una “politica della conoscenza” (scuola, università, ricerca, educazione permanente, banda larga, biblioteche) non c’è futuro.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported License
L'autore
-
Andrea Capaccioni insegna Biblioteconomia all'Università degli studi di Perugia. Fa parte della direzione della rivista open access “Jlis.it” ed è membro del comitato scientifico di “AIB studi”.