È uno degli scrittori islandesi contemporanei di maggior successo, tradotto in numerose lingue. Seppur scrittore produttivo, Ingólfsson non ha mai abbandonato la sua professione di ingegnere civile per la pubblica amministrazione delle strade islandesi. Scrittore di romanzi gialli, è stato finalista al premio Glass Key per il miglior giallo nordico con il titolo Flateyjargáta (2002), tradotto in italiano da Alessandro Storti col titolo L’enigma di Flatey per i tipi di Iperborea nel 2012. Ambientato nella remota isola islandese di Flatey, al centro del Breidafjördur, negli anni ‘60 del secolo scorso, il romanzo ruota intorno alla piccola comunità dell’isola che è toccata dalla morte inspiegabile di un celebre filologo nordico di nazionalità danese, i cui resti sono trovati per caso. Asse portante della vicenda è uno dei manoscritti islandesi più celebri, la Flaterjarbók (il libro di Flatey) che presta l’occasione a Ingólfsson di addentrarsi nella cultura islandese medievale, nelle narrazioni contenute nel manoscritto (un tempo conservato sull’isola, da cui il nome). Dal romanzo emerge anche un quadro veritiero – non esente da humour – della vita islandese nelle campagne ancora pochi decenni fa, la mentalità degli isolani, il loro rapporto con la storia e la letteratura nazionale. Altro aspetto saliente dell’opera si riscontra nel ruolo predominante della natura sulla vita, a cui l’uomo si piega e si adegua. Non vi è però traccia del sublime romantico, ma piuttosto la semplice constatazione della vita di uomini e donne che, pur abitando in un luogo estremo, si dilettano di saghe medievali che proteggono come il bene più prezioso della propria identità. Abbiamo rivolto a Ingólfsson alcune domande.
Cosa significa essere scrittori islandesi oggi?
Credo significhi, più o meno, la stessa cosa che essere scrittori di altra nazionalità. Credo che ogni scrittore abbia il proprio intento. Il mio destino è stato nascere su un’isola chiamata Islanda, dove ho vissuto tutta la mia vita. Quelli sono i luoghi che conosco meglio, e quando ho una storia da raccontare la sua localizzazione è solitamente in quell’area. Per me essere islandese non è un dato essenziale. Sono felice se posso far conoscere alcuni aspetti della cultura islandese a un più ampio pubblico internazionale attraverso i miei lavori, ma non tanto perché si tratta di qualcosa di islandese, ma piuttosto perché essi significano qualcosa.
Cosa spinge un autore a utilizzare una lingua come l’islandese che è parlata da circa 300.000 persone? Mentre scrive pensa già a un pubblico internazionale che leggerà le sue opere in traduzione?
Quando una domanda simile venne posta al vecchio autore islandese Thor Vilhjálmsson [anch’esso pubblicato da Iperborea, n.d.r] egli rispose: ‘Oggi, in Islanda, la popolazione è numericamente analoga a quella di Firenze ai tempi di Dante’.
La mia risposta: se senti la necessità di raccontare una storia non stai a pensare all’ampiezza del pubblico. Magari sei seduto con un amico e un bicchiere di vino e gli racconti di un viaggio recente. Ti compiaci del sorriso e della risata del tuo amico quando dici qualcosa di divertente. Non stai a pensare che il tuo pubblico è costituito da una sola persona e che non starai a perdere tempo nel raccontare la tua storia per un’audience così limitata.
Quando scrivo storie il mio pubblico è costituito dai lettori che possono leggere il testo in originale, in lingua islandese. Non penso mai alle traduzioni, o al successo internazionale. Ciò distruggerebbe l’essenza della storia. Far sì che la storia sia leggibile in altre lingue è compito dei traduttori, Dio li benedica!
Quali sono, secondo lei, le caratteristiche peculiari del genere giallo nel mondo nordico?
Non c’è dubbio che il giallo nordico è oggigiorno qualcosa di assimilabile a un genere specifico, se non altro per la sua popolarità. Molti lo considerano nato grazie alla serie legata al detective Martin Beck degli scrittori svedesi Maj Sjöwall e Per Wahlöö: vi hanno dedicato dieci libri in dieci anni, dal 1965 al 1975. Ciò che rende queste storie speciali è il realismo sociale, una buona trama e talvolta un controllato senso dell’umorismo. Le stesse caratteristiche possono essere attribuite agli attuali giallisti nordici di successo.
Si può parlare di un genere giallo islandese?
Questa domanda mi venne posta anche durante una tavola rotonda in Germania. Piuttosto che ammettere di non aver letto molti romanzi gialli islandesi e che dunque non ero in grado di fornire una risposta sensata, dissi: ‘Un giallo islandese è un giallo scritto in islandese.’ Dopo avere compiuto numerose letture penso che quella risposta non fosse così stupida.
Nel suo romanzo L’enigma di Flatey un ruolo preponderante è giocato da uno dei più importanti manoscritti islandesi, la Flateyarbók. Quale è il peso della tradizione culturale medievale sulla vita degli islandesi di oggi?
Le saghe islandesi sono state le fondamenta della cultura islandese per molti secoli. Oggi alcune di esse sono letture obbligatorie nelle scuole e molti islandesi crescono traendo piacere da esse. I lettori hanno le proprie storie preferite e i propri personaggi preferiti. All’Università di Islanda il programma per l’educazione permanente offre corsi in cui si leggono ed analizzano le saghe. Questi corsi sono veramente popolari e sempre frequentatissimi da gente di tutte le età. Molti di loro, entusiasti, si fanno coinvolgere da quegli studi ed io stesso ho udito persone discutere sulle opinioni politiche medievali come se si stesse partecipando a una campagna elettorale. Negli ultimi anni molti scrittori islandesi hanno rivisitato quel periodo e scritto libri che sono basati sulle saghe e suoi loro personaggi.
Nel romanzo L’enigma di Flatey la presenza corale della comunità è riconducibile a uno stile vita proprio delle campagne islandesi di qualche decennio fa o rispecchia l’anima islandese nel suo profondo?
La collocazione della vicenda a Flatey nel 1960 deriva per lo più da ragioni pratiche e il lettore non deve scorgervi delle allusioni nascoste. Ebbi quell’idea per una storia e dovevo trovarvi un luogo. Volgermi verso l’isola di Flatey è stato logico perché conoscevo il luogo molto bene. I miei nonni vivevano a Flatey in quel periodo e io, quando ero molto piccolo, trascorrevo le estati con loro.
Nel romanzo L’enigma di Flatey spicca il ruolo ancora oggi dominante della Natura sulla vita dell’slanda. Vi è in tutto ciò qualcosa di romantico – magari legato al concetto di sublime? o la natura islandese riveste altre funzioni?
Come ho detto prima, il lettore non dovrebbe scavare in profondità nella storia alla ricerca di diversi significati, a meno che egli, od ella, non abbia lo stimolo per farlo. La mia unica intenzione in merito al ruolo della natura è stata quella di creare un?atmosfera autentica alla narrazione, ma ogni lettore può esperire la storia in una maniera differente e non vi è ragione per interferire con tali scelte.
Intervista in lingua originale
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L'autore
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Alessandro Zironi è professore ordinario di Filologia Germanica presso l’Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Nella sua carriera accademica ha prestato servizio anche presso gli atenei di Padova e Ferrara. Possiede il titolo di dottore di ricerca in Germanistica (Filologia germanica). La sua attività di ricerca si concentra sulle lingue e letterature gotica e longobarda; sulla ricezione e riscrittura della tradizione culturale germanica in età moderna e contemporanea; sugli aspetti culturali germanici all’interno dei testi alto medievali. Si occupa inoltre delle relazioni fra la cultura germanica all’interno del più ampio contesto rappresentato dal mondo europeo medievale. Analizza i testi germanici con metodologie filologiche, linguistiche e comparative al fine di recuperare il contesto culturale in cui furono prodotti e/o copiati.
Fra le sue pubblicazioni: L’eredità dei Goti. Testi barbarici in età carolingia (Spoleto 2009); Il monastero longobardo di Bobbio. Crocevia di uomini, manoscritti e culture (Spoleto 2004); I Longobardi gente germanica, in I Longobardi in Italia: lingua e cultura (Alessandria 2015); William Morris and the Poetic Edda, in Studies in the Trasmission and Reception of Old Norse Literature (Turnhout 2016); Il Carme di Ildebrando: un padre, un figlio, un duello (Milano 2019).
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