Dolores Vilavedra (Vigo, 1963) è docente di Letteratura Galega all’Università di Santiago de Compostela. Si è distinta nel campo della letteratura contemporanea come autrice di articoli di critica e di ricerca. I suoi contributi sono un punto di riferimento obbligato per chi si occupa di saggistica nel campo della letteratura; in particolare vale la pena di citare: Historia da literatura galega (Storia della letteratura galega), Galaxia, 1999; Sobre narrativa galega contemporánea (Sulla narrativa galega contempranea), Galaxia, 2000; la più recente A narrativa galega na fin do século. Unha ollada crítica dende 2010 (La narrativa galega di fine secolo. Uno sguardo critico dal 2010), Galaxia, 2010; così come l’attività di coordinamento del Dicionario da literatura galega (Dizionario della letteratura galega), Galaxia, 2000. A tutto questo va aggiunto il lavoro da lei svolto per la diffusione della letteratura galega al di fuori del Paese, con numerose collaborazioni a opere collettive, con quotidiani come El País e la traduzione di opere galeghe in castigliano, tra le quali spiccano quelle di Manuel Rivas.
Uno dei termini generici che più usi nei tuoi lavori per fare riferimento alla letteratura galega della fine del XX secolo è quello di letteratura “postautonomica”. Che importanza ha avuto l’affermarsi della democrazia e dell’ “Estatuto de Autonomía de Galicia”, lo statuto che riconosceva l’autonomia della Galizia?
Ha avuto e ha un’importanza fondamentale per due ragioni: da un lato per le ripercussioni che lo statuto ha avuto nell’autopercezione identitaria della società galega; dall’altro per il nuovo contesto legislativo che si è venuto a creare e che, attraverso l’insegnamento, mette in contatto sia con la lingua sia con la letteratura galeghe tutti gli studenti, garantendo loro una conoscenza di base di entrambe.
Una volta avviato il processo di istituzionalizzazione dell’ambito letterario galego, in seguito alla caduta della dittatura, quali sono le sfide che si trova ad affrontare la società contemporanea?
I cambiamenti che derivano dai nuovi mezzi di comunicazione digitale, la necessaria presenza nella rete e, in concreto, tutto quanto concerne la situazione attuale, la messa in discussione dello stesso statuto d’autonomia che si è generata in molte persone a causa della crisi e che a breve termine può provocare un’involuzione nel processo di istituzionalizzazione della letteratura galega.
Si è presa l’abitudine di attribuire delle etichette per parlare delle letterature non egemoni, quali quelle di letterature coloniali o postcoloniali, minoritarie, minorizzate, periferiche… come situeresti la letteratura galega in questo contesto? Le applicheresti qualcuna di queste etichette?
Preferisco l’aggettivo “periferica” perché ha un’interpretazione sistemica che comprende la tensione fra centro e periferia e in più allude graficamente alla situazione della cultura galega in Spagna e in Europa; aiuta a visualizzarne la posizione geostrategica.
Hai sempre chiaramente rilevato che due delle linee tematiche più rappresentative della narrativa galega della fine del secolo scorso sono quella etnocentrica da una parte e dall’altra quella storica, nello specifico quella relativa alla Guerra Civile. Credi che ancora oggi abbiano quella stessa rilevanza avuta in passato? E quali credi siano i temi più rappresentativi della narrativa dell’inizio del XXI secolo?
Per quanto riguarda l’etnocentrismo, gli scrittori dimostrano un’attitudine di resistenza attiva allo stereotipo ad esso associato. Scommettere sulla letterarura di genere, come la letteratura di avventura, di viaggi, etc., aiuta a aprire le tematiche verso altri spazi e culture per sfuggire all’etichetta che ci rende vittime dello stereotipo; un esempio è l’ultimo romanzo di Xavier Queipo, Extramundi. Per quanto concerne il tema della guerra, l’importanza che ha avuto si sta risituando in un contesto più ampio: la memoria. Una parte è proprio la memoria storica, ma a fianco a questa compare la memoria fisica, o generazionale, che mette in discussione l’identità individuale. Sull’argomento sono stati pubblicati numerosi romanzi, qui e fuori, che presuppongono un ampliamento del tema della memoria.
Negli ultimi tempi si è discusso molto sulla necessità di esportare la letteratura galega all’estero attraverso la traduzione. Quali credi che siano le strategie da seguire per far conoscere la produzione galega e incoraggiare le case editrici estere a tradurla?
Unificare le strategie, definire le priorità; credo che dovrebbe esserci un qualche organismo, pubblico o privato, per esempio le case editrici, che coordini tutto. Se ogni editore fa da sé, a volte si sovrappongono, altre funzionano come forze in opposizione; in questo modo si investe molta energia per ottenere risultati scarsi. Ci vorrebbe un organismo al di sopra degli editori che conosca bene il mercato internazionale: il profilo delle case editrici, il tipo di lettori… Si tratta di qualcosa che non verrebbe a costare tanto se ci si avvalesse di Internet.
Pensi che le caratteristiche intrinseche delle opere possano condizionare il fatto che vengono o meno tradotte? Che tipo di opere, secondo te, sono più esportabili?
Non credo alla letteratura universale. Credo esistano barriere culturali e generazionali che fanno sì che una certa opera non funzioni e a volte tali barriere sono molto sottili. Nella diffusione gioca un ruolo anche il caso. Se è vero che alcune volte queste barriere sono ben prevedibili in quanto è possibile intuire che tipo di letteratura possa risultare interessante, altre volte sono del tutto imprevedibili. C’è parecchio spazio per la sorpresa.
In questo periodo di crisi economica e cambi tecnologici, come pensi che possa evolversi l’importazione e esportazione delle opere letterarie?
In generale, la crisi ci obbligherà ad essere più selettivi con quanto pubblichiamo, compriamo e vendiamo. L’offerta si ridurrà, ma spero che questo implichi un aumento della qualità.
In conclusione, cosa pensi che possa portare un lettore italiano ad avvicinarsi alla letteratura galega?
Una diversa visione del mondo. Ma credo che ciò nasca più dall’individualità che da un corpus. Mi spiego, anche se l’individuo è comunque frutto di un contesto culturale e geografico, io credo più in ciò che gli scrittori galeghi possono apportare individualmente che nel valore singolare di un corpus letterario.
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L'autore
- Inma Otero Varela (Carral, 1976) è attualmente professoressa di Lingua e letteratura galega nelle scuole superiori. È stata lettrice di galego nell’Università “La Sapienza” di Roma dal 2003 al 2008. Collabora come critico letterario in “Grial” e “Novas do Eixo Atlántico*. Ha pubblicato studi sulla narrativa galega in svariati volumi e riviste scientifiche (“Critica del Testo”, “Anuario de Estudos Literarios Galegos”, “Boletín Galego de Literatura).
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