Secondo Lei la letteratura francofona ha conosciuto recentemente nuovo interesse nel panorama letterario francese? E su scala mondiale?
Personalmente non faccio alcuna differenza tra “letteratura francese” e “letteratura francofona”, non credo sia gran cosa identificare gli scrittori sulla base della loro nazionalità. Si è scrittori, semplicemente, come si è medici. Un medico può curare chiunque, non solamente chi è del suo paese. Per me la nozione di “letteratura francofona” non rende conto della realtà, perché tralascia una cosa estremamente importante: gli scrittori devono essere definiti per i libri che leggono e cui si ispirano.
Ovvero?
Se io amo la letteratura giapponese, russa o italiana, è una mia scelta. Perché dovrei essere definito uno scrittore francofono se non leggo altro che libri, tradotti in francese, ma che sono di autori stranieri?
Quali sono gli scrittori che più hanno influenzato il Suo lavoro?
Mi piace soprattutto leggere degli autori molto distanti da me. Borges ad esempio, non gli sono certo affine per tematica né stile, così breve e sentenzioso, ma questo scrittore ha comunque una forte influenza sul mio lavoro. Poi mi piace molto Jun’ichiro Tanizaki, per la giusta distanza che riesce a mettere tra sé e il lettore, il suo modo di tenerlo sulle spine. Infine Michaïl Bulgakov, credo, per la sua ironia. Come dico sempre non c’è alcuna distinzione di razza o d’origine nella mia biblioteca, che è plurietnica.
Lei ha detto più volte in altre interviste “io sono del paese dei miei lettori”, qual è il motivo di questo viaggio nel loro mondo?
Penso che il luogo abbia in sé qualche cosa di importante. Eduard Glissant dice che il luogo è “inevitabile”. Ciò significa che se si è nati in Italia, in Germania o in qualsiasi altro paese, questo è qualcosa di è scritto ed immodificabile. Ma attenzione, il luogo non è il solo criterio per comprendere la letteratura: l’interpretazione di un’opera dipende dalla sensibilità di ciascuno, che è legata alla prima infanzia o alle letture fatte…
Lei ha detto poco fa che il mestiere dello scrittore è quello di essere semplicemente uno scrittore, ma non pensa che ci siano altri criteri per meglio orientarsi e comprendere l’opera di un autore?
Penso che al luogo possa aggiungersi l’epoca storica in cui si scrive. Essa ha un’importanza capitale nelle relazioni umane; oggi ad esempio la tecnologia permette di scrivere o parlare con persone all’altro capo del mondo, gratuitamente ed istantaneamente per mezzo di internet. Si è sempre al corrente di quello che accade ovunque, si è a dir poco bombardati, non possiamo più ignorare veramente nulla. Questo è solo un esempio, che sottolinea tuttavia come, all’imprescindibilità del luogo, si debba sempre considerare la contestualizzazione storica dell’epoca in cui si scrive, con le sue caratteristiche, i suoi pregi, i suoi difetti.
Visto che si parla di luoghi ed epoche: l’etichetta di “Francofonia” ha ancora senso nel 2014?
Si sa, la gente mette delle etichette, le case editrici pensano di dare più chance ai libri che vendono, sperano così di stigmatizzare l’interesse per la letteratura di una certa regione o di un certo paese. E’ anche un modo di ritrovarli più rapidamente in libreria, questo non è sbagliato di per sé. Trovo sia peggio utilizzare queste etichette all’interno dell’Università, per i nomi dei corsi ad esempio.
Lei ha partecipato al Manifesto Pour une littérature-monde di Michel Le Bris. Pensa che qualcosa sia cambiato dopo il 2007/08? Possiamo oggi parlare di una Letteratura-Mondo che comprenda quella francese?
I manifesti letterari non sono che dei manifesti. Ciò che è importante è la letteratura, il testo. Il fatto è che nei romanzi, e nella letteratura in generale, si sono volute trovare motivazioni sociologiche, economiche, politiche. Gli scrittori hanno voluto esprimere una loro opinione sulla realtà letteraria del momento. Ma la letteratura non è sempre sincera né chiara, gioca sul filo dell’ambiguità. Un manifesto non potrà mai rappresentare in pieno la verità di un’epoca, ma solo avvicinarcisi.
In che cosa era d’accordo col Manifesto e da che cosa poi ha preso le distanze?
Io ero semplicemente d’accordo sul fatto di rompere l’egemonia parigina su questa questione annosa che è la “Letteratura di espressione o di lingua francese”, ma non ero per forza d’accordo con molte altre cose scritte nel manifesto. Per questo ho preso un po’ le distanze, scrivendo nel mio testo che io parlo e scrivo francese in tutte le lingue e in tutti i paesi, e che la letteratura per me è un viaggio e non un confino.
La Francia e Parigi sono molto importanti per Lei, soprattutto dopo la Sua recente ammissione all’Académie Française, ma non ha mai scritto nulla a riguardo?
Non ho mai abitato a Parigi, a differenza, ad esempio, del mio amico Alain Mabanckou, che oggi vive a Los Angeles. Parigi, come Brazzaville, per lui sono dunque dei luoghi di nostalgia, pur essendo due universi molto distanti. Io ho vissuto a Montréal, Miami e abito tuttora in Québec. Questi sono i miei luoghi, i miei spazi di scrittura, benché l’America in sé non evochi per me alcuna nostalgia. Nei miei immaginari letterari ho piuttosto in mente la luce e il cielo blu di Haiti, il Mar dei Caraibi, il mercato, con tutto il suo crogiuolo di differenti comunità, africane, libanesi. La vita che ci circonda è ciò che dà l’ispirazione per scrivere.
Che cos’è secondo Lei Parigi nell’immaginario degli scrittori? Perché questa città non perde mai il suo fascino?
Parigi non è solo la capitale della Francia, ma del mondo francofono in generale. Ci sono milioni e milioni di persone che vengono da ogni parte del mondo a Parigi perché è una città veramente potente, politicamente ed economicamente. E poi, è la città con il maggior numero di librerie in Europa, qui l’attività editoriale è di grande importanza.
Che cosa rappresenta il Suo ingresso all’Académie Française?
Sono oggi membro dell’Académie Française e in seguito alla mia investitura sono stato ricevuto dal Presidente della Repubblica per un’ora. E’ ben raro essere accolti da un capo di stato per così tanto tempo, quando si è semplicemente degli scrittori. Questa è un’invenzione tutta francese, è per questo che Parigi è la capitale degli scrittori. Non bisogna vedere Parigi solo come un simbolo della Francia o un simbolo di colonizzazione, bisogna vederla piuttosto come New York, ovvero come una città ibrida, multiforme, multiculturale, del melting-pot.
Gli scrittori che vi abitano sono venuti per condividere delle esperienze.
L’elezione all’Académie Française può essere vista come il riconoscimento della Sua attività di scrittore da parte di una collettività allargata?
Sì, ancor più perché l’Académie Française può essere messa in discussione oggi, in Francia, ma non lo è nel resto del mondo, e soprattutto negli altri paesi francofoni. Per loro la letteratura francese è come una fortezza in cui vivono grandi scrittori come Alexandre Dumas, Montesquieu… Bianciotti, a cui sono succeduto.
Per noi è un riconoscimento straordinario, è un sogno essere associati ad autori dal nome illustre. L’invenzione francese di questa linea storica della letteratura dà agli scrittori grande dignità ed autorevolezza.
L’Académie quindi continua a proteggere i suoi Immortels e a vegliare sul futuro della letteratura francese…
Come sa, il simbolo dell’Académie è una spada, perché originariamente l’academico era il solo che poteva presentarsi davanti al Re armato.
La sua spada era quella dell’Ingegno («l’épée de l’esprit»): si aveva dunque il diritto di porgerla al Re, ovvero di porgli qualsiasi domanda.
Pensi a quello che succede oggi negli aeroporti! Non si può attraversare un paese con un’arma. Immagini un paese dove un individuo, che non sia un ricco aristocratico, potesse per il solo riconoscimento del suo valore morale o intellettuale, presentarsi davanti al Re con la sua arma, parlargli de facto, da uguale ad uguale. La Francia è il solo paese che ha saputo donare un valore così forte alla cultura e ai suoi intellettuali.
Il Prix Goncourt si iscrive nella stessa linea… politica?
Certo, ogni anno il vincitore del Prix Goncourt incontra ugualmente il Presidente e la notizia è su tutti i media.
Parlando della diffusione delle Sue opere a livello europeo e mondiale, Lei è tradotto in molti paesi. Chi sceglie il paese in cui vengono tradotti i suoi romanzi?
Dipende, generalmente ciò avviene nel mercato del libro, gli editori incontrano altri editori e gli agenti. Si finisce per sceglier in funzione delle vendite. Un premio può cambiare significativamente la diffusione di un romanzo, conferendo molta notorietà al suo autore.
Lei ha scritto sul terremoto di Haiti. Come ha sentito che era venuto il momento di scrivere su ciò che stava accadendo intorno Lei?
Ero presente e non potevo far finta di non aver visto niente. Bisognava rendere conto di ciò che era successo e per me era importante che venisse fatto da qualcuno che conoscesse bene il paese e la sua popolazione, rispettandola. Non potevo accettare che si facesse un servizio televisivo con i soliti muri che cadono e le persone che piangono e muoiono.
Tra gli scrittori francofoni si nota spesso una volontà di parlare di soggetti sensibili, come l’immigrazione, l’integrazione, la condizione femminile. In che misura per Lei la letteratura può farsi testimonianza attiva di un momento storico?
La vita è semplicemente troppo complessa. Ci sono dei libri che salvano la vita delle persone, è una forma di engagement. Un libro può portare testimonianza di certe sensazioni e anche portare conforto, senza necessariamente fare dell’ideologia. Quello che è importante è testimoniare e sollevare quelli che sono i problemi e le cose che non funzionano.
Un messaggio positivo per concludere: Lei parla spesso di reinventarsi nella Sua autobiografia, dicendo che serve sempre essere un po’ audaci…
Io sono sospeso tra la realtà e il sogno, la letteratura è per me testimonianza di questo dialogo. L’audacia di cui parlo e che mi ha accompagnato fin qui fa parte della mia natura, è legata alle mie origini haitiane. In ogni caso mi piace trasmettere messaggi positivi, di vita, di energia.
Questo è importante, nella letteratura, come nella vita.
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L'autore
- Francesca Dainese è dottoranda in cotutela presso l’Università di Verona e l’Université Sorbonne Nouvelle-Paris 3. Il suo lavoro di tesi è dedicato ad indagare il tema dell’identità nell’opera di Romain Gary, Georges Perec e Patrick Modiano. Ha partecipato a numerosi convegni nazionali e internazionali e ha pubblicato diversi articoli, dedicati alla letteratura francese e francofona contemporanea. Membro dell’équipe THALIM e dell’Association Georges Perec, ha trascorso gran parte del suo lavoro di ricerca in Francia. All’Università di Verona è co-organizzatrice di un seminario sulle scritture del dopo-Shoah, di cui sta curando anche una raccolta di saggi di prossima pubblicazione, dal titolo Contourner le vide: écriture et judéité(s) après la Shoah.