Sono numerosi i motivi che giustificano l’assegnazione a questa silloge poetica del Premio della Critica che l’Asociación Española de Críticos Literarios concede ogni anno alle migliori opere in poesia e narrativa scritte in ognuna delle lingue ufficiali dello stato spagnolo.
Il libro è concepito sin dalla sua veste più esterna come un oggetto artistico che parla della multidisciplinarietà presente nel discorso poetico. Il cinema, le arti plastiche, la filosofia e i miti configurano l’universo fittizio dell’opera di María do Cebreiro, molto prolifica nonostante la sua giovane età. Nella sua traiettoria le è sempre piaciuto dialogare con quelle narrazioni che hanno segnato il suo modo di posizionarsi culturalmente, sia come galega, sia come persona appartenente all’insieme della civiltà occidentale. Nel suo macrocosmo letterario, ma anche in quello saggistico, vi è una profonda analisi dei segni che agevolano la comprensione di noi stessi. In questo senso, una delle narrazioni che inevitabilmente si trovano nel nostro inconscio è quella biblica, la cui presenza è evidente in questo libro di poesie.
Lasciando da parte la ricerca attorno al testo come atto comunicativo, in questo caso incentrata sul valore della scrittura come traccia, in quest’opera si evince una poesia dell’esperienza che privilegia l’emozione rispetto all’intelletto, nonostante il peso di quest’ultimo aspetto. Si scandaglia l’esperienza del dolore, della colpa e dell’ingiustizia commessa contro gli emarginati, è da qui che il riferimento all’Antico Testamento assume un valore simbolico. Il deserto diviene metafora della traversata attraverso il tormento, la ferita che si fa paesaggio come spazio di rivelazione. Le verità si nascondono nelle crepe, che palpitano sottopelle più che mutare grazie all’amore.
L’esplorazione del dolore la conduce alla rilettura dei classici galeghi e della Rosalía de Castro più metafisica, un’altra delle costanti della sua produzione. Il riferimento rosaliano mette in rilevo una visione alquanto eretica della Bibbia, che ha a che vedere con il protagonismo della donna presente nel libro. In O deserto l’io poetico si specchia in quelle donne silenziate dalla storia ufficiale per ricollocarle nel luogo centrale che corrisponde loro affinché il mito possa materializzarsi, incluso nelle versioni che di esso conosciamo. Così la Vergine Maria e la Maria Maddalena, insieme alla Maria autrice, rivendicano il ruolo di tutte quelle eroine alle quali è stata negata la memoria della loro audacia.
Il linguaggio poetico diventa una piaga di contraddizioni che cerca di interpretare ciò che le preghiere tengono nascosto. Ma facendo della contraddizione una virtù, i rimandi intellettuali proiettano una luce nell’oscurità per mostrare come, in fin dei conti, solo l’amore conta.
(traduzione di Marco Paone)
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L'autore
- Inma Otero Varela (Carral, 1976) è attualmente professoressa di Lingua e letteratura galega nelle scuole superiori. È stata lettrice di galego nell’Università “La Sapienza” di Roma dal 2003 al 2008. Collabora come critico letterario in “Grial” e “Novas do Eixo Atlántico*. Ha pubblicato studi sulla narrativa galega in svariati volumi e riviste scientifiche (“Critica del Testo”, “Anuario de Estudos Literarios Galegos”, “Boletín Galego de Literatura).
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