Interventi

«All the world’s a stage»

Il grande poeta e drammaturgo Ben Jonson, collega e contemporaneo di William Shakespeare, nel lungo elogio scritto due anni dopo la morte di Shakespeare, affermò che «Lui non è di un’epoca, ma è per tutti i tempi». A distanza di quattrocento anni, è stato provato che Jonson aveva ragione non solo “per tutti i tempi”, ma anche per tutto il mondo.

Per quasi quarant”anni, come critica del teatro e dell’opera, ho trascorso gran parte della mia vita viaggiando in Gran Bretagna, Europa, e, occasionalmente anche più lontano, assistendo a commedie e opere per giornali e riviste britannici o di altre parti d’Europa. Ho cominciato ad accantonare molti di questi viaggi solo pochi anni fa, quando il pensiero di un altro aereo da prendere troppo presto, di un altro hotel, di un altro spettacolo che, spesso, risultava essere una perdita di tempo, cominciò a perdere il suo fascino!

In tutto quel tempo, Shakespeare fu una presenza frequente, e pure in così tante lingue, in così tante interpretazioni. All’inizio la rivelazione della popolarità di Shakespeare al di là delle isole britanniche mi sorprese moltissimo, e mi portò, con alcuni colleghi dell’Associazione Internazionale dei Critici Teatrali, ad organizzare nel 1987 un convegno della durata di un fine settimana al Young Vic Theatre di Londra, intitolato “Shakespeare è ancora un nostro contemporaneo?’” un’allusione al libro Shakespeare nostro contemporaneo(1964) del famoso giornalista e accademico polacco Jan Kott.

Il libro, nel frattempo, era diventato un classico nel mondo teatrale e, quasi 25 anni dopo la sua prima uscita, ci sembrò appropriato riprendere l’analisi delle teorie di Kott. Fummo abbastanza fortunati da stilare una lista di ospiti incredibilmente brillante, a cominciare dallo stesso Kott, dal grande regista Peter Brook, che aveva scritto la Prefazione dell’edizione inglese del libro di Kott; fino al poeta tedesco Erich Fried, che tradusse 34 opere di Shakespeare, e molti altri. Durante due giorni e molte sessioni, un vastissimo pubblico ascoltò e imparò, ma un fatto, oltre alla convinzione che Shakespeare fosse ancora un nostro contemporaneo, sembrò quasi catturarne l’attenzione allo stesso modo, e cioè che Shakespeare fosse importante in tante altre nazioni e culture quanto lo è in quella inglese.

Infatti, alcune delle più impressionanti messe in scena di Shakespeare a cui io abbia avuto il privilegio di assistere non erano affatto in lingua inglese. La più memorabile? Una produzione del grande drammaturgo e regista tedesco Heiner Müller di Amleto al Deutsches Theater di Berlino al principio del 1990. L’inizio delle prove coincise, nel tardo 1989, con la caduta del Muro, e Müller riuscì, con sottile e suprema intelligenza, ad incorporare questo importantissimo momento storico nella sua produzione, ma senza l’impiego di banali trucchi teatrali. La DDR era Amleto, l’uomo che finì per prendere la sua decisione troppo tardi, per poi pagarne il prezzo. Con il grande attore Ulrich Mühe (che più tardi raggiungerà la notorietà internazionale con il film Le vite degli altri) nel ruolo da protagonista, la produzione di Müller palesa insistentemente questi parallelismi, durante cinque ore di spettacolo (Müller incluse la sua Hamletmaschine nel mezzo del dramma di Shakespeare) e con una crudele e impietosa rivelazione della appropriatezza del messaggio di Shakespeare. Diversamente da altre nazioni del blocco orientale, che avevano fatto coraggiosi attentati per liberarsi dalla tirannia sovietica, la DDR ha reagito solo quando l’azione divenne inevitabile. Quando Fortinbras compare negli ultimi istanti del dramma, Müller ci fa capire chiaramente, attraverso sottili cenni visuali e una graffiante musica metallica, che Fortinbras è la Deutsche Bank, ossia il nuovo governante. Fu una serata indimenticabile e, come spesso mi era già accaduto, pensai, “Come faceva Shakespeare a sapere come fosse vivere in un così grande dilemma?’

Come faceva Shakespeare a sapere come fosse per Otello vivere e operare in un ambiente straniero, e come questo, poi, lasciasse tracce? Come poté descrivere le prospettive antitetiche di Shylock e dei suoi nemici, e, alla fine, lasciare il pubblico libero di decidere? La tragedia delle faide, in Romeo e Giulietta, gli intrighi del male, come in Macbeth, il puro conflitto del potere, come in Giulio Cesare. Ho visto queste e molte altre opere di Shakespeare in moltissime lingue, ma il messaggio di Shakespeare è stato sempre chiaro, non solo per le sue parole, ma anche per il talento che aveva nel costruire un dramma.

Tuttavia, quello che nessun’altra cultura può apprezzare pienamente come noi anglofoni possiamo, è la bellezza dell’inglese di Shakespeare. Gli inglesi usano citazioni Shakespeariane correntemente, vedono i personaggi come eterni prototipi della società umana, ogni giorno, perlopiù senza neanche rendersene conto. Qualunque traduzione di Dante riesce a restituire solo una magra parvenza della poeticità, e così è anche per Shakespeare, di cui gran parte è, per questo, perduta. Nelle scuole inglesi lo studio dettagliato di almeno una delle opere di Shakespeare è obbligatorio? con risultati molto diversi, come si può facilmente immaginare. Ma qualcosa rimane in mente. L’opera selezionata ai miei tempi (molti anni fa) era Giulio Cesare, e nonostante, da allora, io abbia sviluppato una familiarità con la maggioranza delle opere di Shakespeare, nessuna di loro è riuscita a imprimersi così profondamente nella mia memoria. Tre anni fa vidi il film Cesare non deve morire dei fratelli Taviani e ho trovato intensamente toccante ascoltare quelle frasi familiari pronunciate in italiano dai detenuti del carcere romano di Rebibbia? toccante perché la tragedia aveva miracolosamente levigato i cuori di queste tragiche persone, ed è stato sorprendente vedere e sentire uno di loro recitare la profezia di Cassio: «Quanti anni ancora / Questa nostra nobile scena dovrà essere recitata,/ In stati non nati e accenti ancora sconosciuti!» [Atto 2, Scena 1, versi 110-113] E’, questo, un fenomeno interessante, perché gli “stati non nati’ sono la Gran Bretagna al tempo di Cassio, quando sicuramente era ancora “non nata’, e “gli accenti ancora sconosciuti’ sono la lingua inglese, che neppure, allora, esisteva. In altre parole, Cassio sta predicendo un dramma in cui lui stesso figurerà!

(traduzione di Federica Riccio)

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L'autore

Della Couling
Nata in Inghilterra, Della Couling ha viaggiato moltissimo lavorando come traduttrice freelance di libri, opere e articoli tedeschi, olandesi, italiani, spagnoli e francesi, e come critica del teatro e dell’opera per l’ Independent, il Financial Times, il Times, l’Opera Now e tanti altri. Nel 1990 è stata eletta membro del Circolo dei Critici di Gran Bretagna. E’ sua la più completa biografia di Ferruccio Busoni (Ferruccio Busoni. A musical Ishmael), pubblicata nel 2005.
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