Presentare Alberto Casiraghi non è un compito facile. Di lui si è scritto e si è parlato in ogni anfratto in cui si è dedicata attenzione alla poesia del torchio, a quella dei versi, così come alle prose più ricche di requisiti artistici. Niente è sconosciuto, perché la dimora di Casiraghi è una “bottega” editoriale, dove s’incontrano gli autori che, insieme con il tipografo/editore/artista, danno vita a un concerto di proposte e di realizzazioni, muovendosi tra la miriade di oggetti che pendono dall’alto o campeggiano sulle pareti e su tutti i punti d’appoggio della saletta di ricevimento. Posso dire che il mio primo incontro con Casiraghi e con la Wunderkammer strampalata della sua casa a Osnago, nel cuore della Brianza, mi squarciò i veli di una certa editoria. Non fu così solo per me. Chi incontra Casiraghi entra nel vivo della produzione di nicchia, in un’accezione finanche più riduttiva, che consente tuttavia di impratichirsi del linguaggio dell’arte della stampa, che segue sì metodi e tradizioni antiche, ma a un tempo si innerva nella modernità, o meglio, nella quotidianità. Restare qualche ora nella casa accanto a Casiraghi vuol dire non solo godere della compagnia di un artista che coniuga mente, mano, cuore con prodigiosa naturalezza, ma significa entrare nella sua lirica e creativa realtà. Nascono a Osnago i suoi libretti, i cosiddetti Pulcini, fra i più amati da persone di differenti ambienti, ceti e professioni, fra i quali figurano, grazie al cielo, anche molti giovani. Da Casiraghi può capitare infatti di trovarsi con ospiti che fanno parte del gotha letterario o artistico non solo italiano, ma si possono incontrare pure ragazzini, che lo seguono e inseguono, nei confronti dei quali egli si pone come un maestro sempre disponibile, prodigo di consigli e pieno della più tenera umanità. Mentre si è seduti a degustare la tazza di caffè con i pinoli offerta dal premuroso ospite, è tutto un andirivieni, che non si capisce come possa permettere al nostro autore la concentrazione che invece non gli manca mai, neppure quando contemporaneamente suonano alla porta, mentre il telefono squilla, il gatto salta, la gallina irrompe reclamando il cibo. A Osnago si va, ma soprattutto si ritorna sempre con molto piacere e con la gioia di vivere momenti di vera arte. Faccio mia una frase di Casiraghi che segna anche la sua personale attesa: “Ogni incontro è una storia, un ricordo. Potremmo parlare di antropologia dell’editoria”.
In questi ultimi anni due eventi hanno arricchito la tua già avventurosa vita: il film di Silvio Soldini, Il fiume ha sempre ragione insieme con un altro poeta della carta al tino, lo svizzero Josef Weiss, e il tuo matrimonio. La narrazione del film di Soldini era tesa a dimostrare come si avverta il bisogno di non offendere più la natura, ma di trincerarsi nella quiete e nel ristoro che possono offrire le arti manuali. Non ti sembra la sua una illuminante preveggenza, a cui oggi più che mai è bene ancorarsi? Questi avvenimenti hanno significato un cambiamento nel tuo “muoverti”, nel tuo “porgerti”?
È vero! È stato un incontro speciale quello con Silvio Soldini e il suo-nostro Il fiume ha sempre ragione. Un documentario sulle mie giornate di “lavoro” e quelle del caro amico e “collega” Josef Weiss. Soldini è un vero poeta della macchina da presa; trova poesia in ogni angolo. Il docufilm mi ha portato in moltissimi luoghi per presentarlo, da ultimo all’Istituto Italiano di Cultura, a Parigi. Gli spettatori, con le loro domande, al termine della proiezione, hanno dimostrato entusiasmo per la professionalità e la gentile lentezza del nostro lavoro. La partecipazione al film ha segnato un cambiamento: mi sono infatti mosso molto, molto di più del mio solito. In questi ultimi anni mi sono sposato con M. Grazia: con lei ho trovato la persona giusta che condivide con me progetti e viaggi per fare conoscere i Pulcini a sempre nuovi amici.
Non c’è amante delle pagine poetiche che non conosca i tuoi libretti, i tuoi Pulcini “piccoli e bellissimi”, che hanno raggiunto le diecimila unità, moltissime delle quali, come è noto, presentano versi o brevi testi di Alda Merini, impreziositi da tuoi interventi grafici. Se alla Merini porgevi il tuo côté artistico e tecnico, all’estro creativo di Luciano Ragozzino, con il quale hai già raggiunto le oltre cento unità di Pulcini, fai interpretare i tuoi aforismi, le tue pillole ironiche. Come giudichi questa tua “intercambiabilità”? Che cosa ti muove in un verso e nell’altro?
In questi quarant’anni di “Pulcini” ne è passata di acqua sotto i ponti… Ho imparato molto da chi ha partecipato alle Edizioni Pulcinoelefante, inevitabile citare l’incontro con Alda Merini che con i suoi 1400 titoli e con almeno 500 artisti ed illustratori tra cui posso citare Luciano Ragozzino, magnifico incisore, Luigi Mariani con i suoi ori, Roberto Bernasconi con le sue invenzioni, Enrico Baj, Ugo Nespolo, Giuliano Grittini, Eric Toccaceli e Daniele Ferroni con le loro fotografie dedicate alla poetessa.
È una gioia per me volare, cercare nuove strade. La tipografia è un grande amore, ma lo è anche disegnare. Le immagini le cerco sempre dentro di me ascoltando i miei Maestri: Bruno Munari, Paul Klee, Alberto Savino e i geroglifici egizi. La vera fonte è sempre la ricerca della musica che c’è dentro le cose… nelle composizioni grafiche, quando scrivo poesie, quando suono il violino. Per entrare nei suoni da ragazzo ho fatto il liutaio, non di violini, ma di Vielle e Liuti rinascimentali.
“Carta”, “caratteri”, “illustrazioni” sono una sorta di unicum soprattutto nei libri manuali del passato remoto, ma lo sono ancora in quella piccola porzione di editoria di cui tu sei l’esponente più estroso e molto amato. Sapresti indicare ai giovani che non hanno il piacere di frequentarti una strada anche solo parallela alla tua e insegnare loro quali sono gli scogli più importanti da affrontare?
La scelta dei caratteri mobili è stata fin dall’inizio peculiare, una scelta di poesia ed amore verso la tipografia classica. In questi anni sono stato in varie scuole primarie e nel carcere milanese di San Vittore per raccontare la mia esperienza tipografica e poetica senza rinnegare però le nuove tecnologie. I bambini hanno mostrato sempre un grande entusiasmo nel conoscere i caratteri mobili e nello stampare un libricino con un loro testo e disegno. Dico ai tanti giovani che incontro di “ascoltarsi” e di cercare di seguire strade loro congeniali, pur sapendo che nella microeditoria ci vuole inclinazione e tanta tanta costanza.
È molto riduttivo definirti «tipografo lombardo» come è accaduto. La tua poesia si snoda pure nella concretezza del tuo essere abilissimo designer, cultore del bel catalogo, raffinato illustratore, e perché no, violinista di tempra. Come e quando hai conseguito così tante abilità?
Nella vita ho fatto vari mestieri prima di intraprendere la strada che ancor oggi mi porta a seminare il mio orticello. Ho lavorato in tipografia chiamato al “Giornale” da Indro Montanelli per la imposizione della pagina; ho fatto lo scenografo; ho fatto il liutaio; ho suonato il violino, tutti lavori che mi hanno insegnato a mantenere sveglia la fantasia unita sempre all’attenzione e all’abilità delle mani, componenti ancora tutte del mio operare.
Isoliamo anche solo i tuoi aforismi. Sono il risultato del tuo pensiero, la tua Weltanschauung, sono le pillole in cui condensi il tuo bisogno di esprimerti? Che cosa rappresentano veramente per te?
È vero, ho dedicato molto tempo agli aforismi, una sorta d’introspezione infinita per conoscermi meglio. Da anni li spedisco a Gino Ruozzi, un carissimo amico ed esperto conoscitore del mondo degli aforismi, insieme con il quale decidiamo per la loro pubblicazione. Ne cito quattro che ho scritto in questo periodo imprevisto e difficile: “Non cerco mai confini / perché lascio aperte tutte le porte”, “Chi pensa di sapere tutto mi fa paura”, “Cerco Libertà anche nel buio inesorabile”, “Non ci sono più le inquietudini di una volta: / ora c’è il Valium”.
I tuoi Pulcini sono in un certo senso la continuazione delle “farfalle” di Scheiwiller. Non è un caso che i tuoi primi importantissimi cataloghi siano stati editi proprio da Vanni Scheiwiller. Ti senti di avere appreso e continuato la sua grande lezione?
Nel tuo testo introduttivo parlavi di esperienza antropologica e sono pienamente d’accordo con te. La mia casa-editrice da anni è frequentata da scrittori ed artisti provenienti da tutto il mondo e la modalità è sempre la stessa: partecipare alla creazione in tutte le fasi, inclusa quella grafica-compositiva. Per finire non posso dimenticare oltre ad Alda Merini, Sebastiano Vassalli, Vanni Scheiwiller e Roberto Cerati, amici speciali che mi hanno cullato con le loro parole. Non posso dire di essere il continuatore del grande Vanni, ma sicuramente mi sento di essere fra coloro che hanno avvertito maggiormente la forza del suo operare, il magistero del suo lavoro.
Nella dimensione che stiamo vivendo, di isolamento e straniamento, secondo la tua visione, il libro non assume forse un valore più grande, come fonte di intrattenimento da poter godere in solitudine, ma anche come strumento di riflessione, per tentare di decifrare una dimensione tragica e imprevedibile?
Non solo leggere un libro, ma guardare immagini, ascoltare musica, scrivere testi di qualunque tipo, sono in questo momento delle fonti a cui attingere per rimanere saldi e protesi ad attendere la fine di questo periodo di dolore che ha colpito pure amici. Sono forme che si godono in solitudine ma che si possono anche partecipare nei molti modi che oggi la tecnologia consente per non sentirsi soli.
E ancora: la dimensione “lenta” dei lavori artigianali, penso ad esempio alla stampa con il torchio e alla realizzazione manuale dei libretti, così come solo tu li sai creare, non pensi possa diventare una opportunità da riscoprire in questi tempi, in cui tutti siamo stati costretti a rallentare e poi addirittura a fermarci?
Nella dimensione apparentemente “lenta” ci sono dei veri, grandi maestri come il caro amico Enrico Tallone che vive le sue edizioni come una magia ed è sempre pronto a dare consigli preziosi. Sarebbe sufficiente pensare alla poesia della casa di Alpignano dove lavorano i Tallone per dimostrare che chi va piano va sano e lontano…
Ho parlato della vastità e varietà dei tuoi rapporti umani, e insieme della lentezza delle tue occupazioni; l’insieme compone un quadro di pacatezza nel ritmo quotidiano che ben si coniuga col fiorire degli aforismi, nella tua scrittura e nella tua attività editoriale, quasi un lento germoglio di sorridente saggezza… possiamo definirlo così?
Come ho affermato per i Tallone, posso dire che lavorando nella quiete e spesso nel silenzio il mio pensiero si è sempre disteso e ha provato, come tu dici, a germogliare.
L'autore
- M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it
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