Luca Carboni è nato a Roma nel 1968, si è laureato in Scienze Politiche all’Università di Roma “La Sapienza” e diplomato in Archivistica alla Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica. Assunto nel 1998 all’Archivio Segreto Vaticano, ne è stato il Segretario Generale dal 2003 al 2014; passato poi ai ruoli scientifici come Archivista. Dall’ottobre 2005 è docente di Archivistica presso la Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica e dall’ottobre 2015 è docente di Archivistica generale presso il corso di laurea magistrale in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali della Scuola di Alta Formazione per Restauratori dell’Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario di Roma. Coordina i tirocini formativi in Archivio Segreto Vaticano dei diplomati della Scuola Vaticana, relativamente al riordino e all’inventariazione dei fondi degli Archivi delle Rappresentanze Pontificie.
Buongiorno professore, partendo dall’immaginario collettivo che impregna l’Archivio Vaticano di una forte carica di fascino ma al contempo di “mistero”, perché troviamo in rete (penso a Youtube ad esempio) così tanto materiale “thriller” sull’oscura impenetrabilità di questo luogo?
L’Archivio Segreto Vaticano porta nel suo nome tre parole che, prese singolarmente, vengono circondate da un alone di mistero: l’archivio come diceva il maestro dell’archivistica italiana Eugenio Casanova è quella cosa che nessuno sa veramente a cosa serva: «Rari sono in Italia e altrove, coloro i quali sappiano che cosa sia un archivio; rarissimi, coloro i quali discernano a che veramente serva»; segreto è la parola che più ha creato l’alone di mistero, ma in realtà è la testimonianza dell’epoca storica in cui l’archivio nacque, il Seicento, in cui l’archivio non era considerato pubblico, a servizio dei cittadini o della storia, ma instrumentum regni, archivio del principe, arsenal de l’autorité, da qui segreto con il significato di privato (ma nella stessa epoca abbiamo anche l’archivio segreto dei Gonzaga e quello degli Este, oggi a Mantova e Modena); infine la parola Vaticano da sempre visto come luogo che nasconde chissà quale misteri. Le tre parole insieme hanno creato una miscela esplosiva, ma non da oggi, pensi che già Jack London in un suo romanzo del 1908, Il Tallone di ferro, narra di una confessione il cui testo venne nascosto poi nell’Archivio Segreto Vaticano. Dopo i romanzi di Dan Brown poi l’immaginario è esploso, l’Archivio Vaticano, secondo “documentari pseudo storici” che potete trovare in rete, dovrebbe conservare e occultare il Sacro Graal, il quarto segreto di Fatima, il tesoro di re Salomone, le prove dell’esistenza degli UFO, i tesori dei templari, un numero innumerevole di vangeli apocrifi sconosciuti, il cronovisore o macchina del tempo… ciclicamente in rete potete trovare l’Archivio Segreto Vaticano inserito tra i dieci posti più inaccessibili del mondo, insieme alla famosa Area 51 statunitense, nella classifica redatta dalla BBC!
(Porta d’ingresso Archivio Segreto Vaticano)
Perché si tende a confondere, soprattutto nella letteratura estera, l’archivio con la biblioteca?
Non vi può essere confusione tra il contenuto di un archivio e quello di una biblioteca. La biblioteca ha sicuramente una diversa visibilità, è immediatamente compresa nel suo contenuto e vista come un centro aggregatore di cultura. L’archivio, che nasce originariamente e preterintenzionalmente al servizio di un ente e ne segue la vita, è invece figlio del burocrate ed è sentito come qualcosa di impalpabile e indeterminato. È quindi normale che sia maggiormente conosciuta e associata alla cultura una istituzione come ad esempio la Biblioteca Apostolica Vaticana, aperta alla consultazione degli eruditi già nel XV secolo, rispetto all’Archivio Segreto Vaticano che, sebbene aperto agli studiosi sin dal 1881 (comunque 4 secoli dopo la Biblioteca), ha continuato ad essere visto – ma anche vissuto – per decenni come luogo principalmente al servizio dell’Istituzione (il Sommo Pontefice e la sua Curia) piuttosto che luogo di “cultura e ricerca”, trasformazione che è avvenuta gradualmente, soprattutto dalla seconda metà del secolo scorso. Nel mondo poi nordamericano l’archivistica (più legata rispetto a noi alla biblioteconomia) ha acquisito la dignità di disciplina autonoma solo in tempi relativamente recenti rispetto al mondo europeo.
In Italia invece come vengono intesi archivi e archivisti?
Non è facile raccontare gli archivi all’esterno, come dicevo non sono facilmente riconoscibili. Un tempo esistevano due tipologie di archivisti, due carriere archivistiche parallele e pressoché non comunicanti fra loro: gli archivisti di Stato, “sacerdoti” della materia, guide indispensabili per la comunicazione tra le carte e gli studiosi; e gli archivisti delle pubbliche amministrazioni, spesso di profilo medio-basso, che gestivano l’ufficio di protocollo e l’archiviazione dei documenti. Pensiamo nell’immaginario collettivo all’archivista capo Ercole Pappalardo nel film Totò e i re di Roma del 1951, che non ha neanche la licenza elementare. In molti film e romanzi il personaggio che cade in disgrazia viene per punizione inviato a lavorare in archivio. Oggi non è più così: da una parte la rivoluzione amministrativa portata avanti in Italia a partire dalla legge 241 del 1990 (quella sulla trasparenza nella pubblica amministrazione e il diritto di accesso) ha apportato delle modifiche sostanziali alla prassi amministrativa, dall’altra la rivoluzione digitale iniziata alla fine del secolo scorso ha rimesso l’archivio al centro dei processi organizzativi di un ente per la sua efficienza e corretta gestione. Anche l’archivio “amministrativo” quindi deve essere oggi affidato a personale qualificato.
Certamente la figura dell’archivio e conseguentemente dell’archivista rimane legata a questa duplice natura amministrativa e culturale, che richiama quindi parole come diritto d’accesso, diritto alla privacy (alla riservatezza), diritto all’oblio, trasparenza, accountability, segreto di Stato, consultabilità, dati sensibilissimi e consultabilità “rafforzata”, foro interno (in ambito ecclesiastico)… parole che in biblioteca hanno meno rilievo. Come dovrebbero essere intesi l’archivio e l’archivista? A mio parere, al di là delle superfetazioni filosofiche sulla professione che a volte oggi vanno di moda, l’archivista deve mantenere questo duplice ruolo: da una parte quello – come scriverebbe Luciana Duranti – di “servire la democrazia” garantendo l’accesso alla documentazione essenziale dei diritti dei cittadini e delle azioni del loro governo; dall’altra quello culturale di ridonare vita e voce al passato, gettando un ponte tra passato e presente e aiutando lo storico indipendentemente dalla sua ideologia, servendo “tanto alla storia descrittiva quanto a quella problematica e tanto ad una ideologia conservatrice quanto ad una ideologia rivoluzionaria” come scriveva mezzo secolo fa Leopoldo Cassese.
In poche essenziali parole, che cos’è realmente l’Archivio Segreto Vaticano?
L’Archivio Segreto Vaticano è l’archivio centrale della Santa Sede, archivio storico che mantiene però il suo fine principale nel servizio alla Santa Sede e alla Curia nel compimento del proprio lavoro – come recita lo Statuto – ma anche perché possa rappresentare per tutti gli studiosi, senza distinzione di paese e fede religiosa, una fonte per la conoscenza della storia e della vita della Chiesa. La sua importanza sta non tanto nella sua estensione (molti archivi nel mondo lo superano ampiamente in chilometri di scaffalature), ma per essere considerato – soprattutto per l’epoca medievale – archivio del mondo, ben oltre l’orbis christianus (l’Archivio ad esempio conserva i più antichi scritti cartacei in lingua mongola risalenti alla fine del XIII secolo). Per la continuità cronologica e l’estensione geografica della sua documentazione rappresenta un unicum tra gli archivi del mondo: la peculiarità della sua storia, il fatto di non aver subito grossi rivolgimenti e distruzioni (nonostante il sacco di Roma o in epoca più recente Napoleone Bonaparte), rende disponibile oltre otto secoli di documentazione senza soluzioni di continuità (l’Archivio conserva per alcuni Paesi europei più documentazione medievale sulla loro storia di quanto sia conservata nei Paesi stessi).
(Deposito bunker)
Alla luce di quanto ci ha detto sin’ora è dunque possibile accedere alla documentazione dell’Archivio da parte di studiosi? E a quale documentazione è possibile accedere?
La storia della consultabilità della documentazione archivistica vaticana parte con Leone XIII e la sua decisione di aprire gli Archivi Vaticani agli studiosi di tutto il mondo nel 1881. Sono quindi quasi 140 anni che l’Archivio Segreto Vaticano è frequentato da studiosi (ogni anno circa 1200-1300 provenienti da oltre 60 Paesi). Nel 1881 si poteva consultare la documentazione prodotta fino al congresso di Vienna del 1815. Lentamente si arrivò nel 1966 a poter consultare la documentazione prodotto nel pontificato di Pio IX (fino al 1878). È merito di Giovanni Paolo II aver portato la consultabilità della documentazione dal 1878 al 1939 con continue aperture “per pontificati” (da quello di Leone XIII a quello di Pio XI, passando per Pio X e Benedetto XV). In 27 anni di pontificato ha aperto alla consultabilità ben 61 anni di documentazione, ben oltre qualsiasi altro Archivio di Stato nel mondo, altro che leggenda nera sulla impenetrabilità degli Archivi Vaticani! Oggi dunque uno studioso può consultare la documentazione fino al febbraio 1939 (data della morte di Pio XI) con quattro eccezioni positive: l’archivio dell’Ufficio Informazioni Vaticano per i prigionieri di guerra (1939-1947); l’archivio del Concilio Vaticano II (1959-1965); l’archivio della Commissione Pontificia dell’Arte Sacra in Italia (1924-1989) e infine l’archivio del Censimento degli Archivi Ecclesiastici in Italia (1942). Sulla tipologia della documentazione da consultare la Legge sugli Archivi della Santa Sede del 2005 prevede che restino esclusi dalla consultabilità gli atti dei conclavi, lo spoglio dei documenti dei sommi pontefici e dei cardinali, i processi vescovili, i documenti di foro interno, le posizioni relative al personale della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano e le cause matrimoniali.
Tradotto in numeri, cosa conserva l’Archivio Segreto Vaticano?
Tre soli dati: 85 chilometri lineari di scaffalature; circa 650 diversi fondi archivistici; per oltre 800 anni di storia senza soluzioni di continuità. I quasi 650 fondi archivistici custoditi nell’Archivio Segreto Vaticano risentono della storia dell’Istituto conservatore e dei diversi enti che li hanno prodotti. La consistenza dei fondi è assai variegata: si passa dalle 3 buste delle Epistolae Regiae nell’Archivio Concistoriale, alle oltre 8.500 buste e volumi dell’Archivio Borghese, agli oltre 15.000 volumi di transunti dei processi dell’antica Congregazione dei Riti, poi delle Cause dei Santi, alle quasi 17.000 pergamene del Fondo Veneto I. La principale tipologia dei fondi conservati rispecchia naturalmente l’attività della curia romana, costituita da quel complesso di organismi che coadiuvano il pontefice nell’esercizio del ministero petrino e nell’assolvimento delle sue funzioni come capo della Chiesa cattolica e, fino al 1870, anche degli organi di governo centrale dello Stato pontificio (dai più antichi uffici di origine medievale come la Camera e la Cancelleria Apostolica a quelli di epoca moderna). Una seconda tipologia è costituita dagli archivi originali delle rappresentanze pontificie all’estero (nunziature e delegazioni apostoliche). Si tratta attualmente di oltre 90 archivi di diverse rappresentanze nel mondo. L’Archivio custodisce poi gli archivi completi degli ultimi due Concili ecumenici: il Concilio Vaticano I (1868-1870, dall’indizione all’interruzione, con documentazione posteriore) e il Concilio Vaticano II (1959-1965, dalle Commissioni «antepreparatorie» alla conclusione); conserva altresì un vasto spezzone dell’archivio prodotto dal Concilio di Trento (1545-1563, con interruzioni e documentazione anteriore e posteriore). Possiede infine le carte relative ad alcuni concili provinciali, plenari o sinodi locali, come il Concilio Romano del 1725. Oltre a queste tre tipologie costitutive dell’Archivio Segreto Vaticano inteso come archivio centrale della Santa Sede, l’Archivio – per diverse ragioni storiche – conserva anche fondi pervenuti in Vaticano per acquisto o donazione da famiglie e personalità legate alla Santa Sede per storia o tradizione familiare, nonché fondi relativi a ordini religiosi, monasteri, abbazie e confraternite (soprattutto romane).
(Firma di Galileo Galilei)
Come si pone l’Archivio sul tema della digitalizzazione dei documenti?
Il problema della digitalizzazione è relativamente recente, solo nel primo anno della direzione dell’attuale prefetto (il vescovo barnabita Sergio Pagano, prefetto dal 1997) veniva istituito il servizio informatico in Archivio Vaticano. Il lavoro d’Archivio è una lotta continua contro il tempo e l’oblio. I fotografi dell’Archivio sono perlopiù a disposizione delle richieste degli studiosi che superano i centomila scatti annuali. Alcuni si dedicano però alla riproduzione seriale in digitale della documentazione a fini di salvaguardia e conservazione (oggi nei server dell’Archivio sono conservate sette milioni di immagini). Ma faccia questo semplice calcolo: per digitalizzare e salvare un registro vaticano (un registro cioè di lettere papali medievali da maneggiare con cura) si richiedono, se il fotografo è bravo, due giorni di lavoro, il che significa due/tre registri a settimana; se togliamo le ferie, le festività e i giorni di malattia, in un anno questo fotografo quanti registri avrà digitalizzato? Nel migliore dei casi ottanta/novanta. I registri vaticani sono oltre duemila, in venticinque anni (quasi una vita di lavoro) il fotografo avrà salvaguardato uno dei seicentocinquanta fondi d’Archivio (e non il più grande). L’Archivio Vaticano è in continua espansione e ogni anno riceve in media oltre duemila pezzi d’archivio, più documentazione cioè di quella salvata e digitalizzata da un fotografo nell’arco di una vita lavorativa! A questo si aggiunga che non sempre i documenti più antichi sono quelli che necessitano interventi immediati (pensiamo a tutte le problematiche legate alla conservazione della carta novecentesca o alle modalità di trasmissione della documentazione contemporanea, fax, mail…).
L’Archivio gestisce tutto al suo interno: amministrazione, personale scientifico, restauro, fotoriproduzione e ha anche una scuola ?
L’Archivio ha la fortuna di poter trovare e organizzare tutte le competenze richieste in un Archivio al proprio interno, senza bisogno quindi di esternalizzare alcuni lavori, di ricorrere all’outsourcing o di dover portare “fuori” i documenti d’archivio. La Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica nasce per volontà sempre di Leone XIII sull’onda dell’apertura dell’Archivio Vaticano agli studiosi nel 1881; papa Pecci pubblicò poi nel 1883 la lettera Saepenumero Considerantes sull’importanza degli studi storici (quella dove il papa scrive che la Chiesa non ha nulla da temere dalla verità storica) e l’anno seguente (1884) istituì la “Scuola di paleografia e critica applicata”, “ad effetto di promuovere ed afforzare i sodi studi di storia” della Chiesa nel giovane clero. Oggi la Scuola è frequentata perlopiù da laici che possono seguire tre corsi post-laurea, un diploma biennale di archivista-paleografo, uno annuale di sola archivistica e uno – sempre annuale – per paleografi greci.
Insomma, per rispondere alla domanda “dei molti”, “cosa nasconde” dunque l’Archivio Segreto Vaticano ?
Come tutti gli archivi “nasconde” il passato, le vite degli altri, il residuo dell’attività secolare dell’ente che lo ha prodotto (nel nostro caso la Santa Sede), la nostra memoria. A noi archivisti spetta riordinarla e inventariarla, ai fruitori d’archivio ricercarla e rianimarla, a tutti farne tesoro.
Link di riferimento alla pagina personale di Luca Carboni
https://archiviosegretovaticano.academia.edu/LucaCarboni/Conference-Presentations
L'autore
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Mario Coffa archivista e bibliotecario, laureato in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi di Perugia (2005) e diplomato in Archivistica e Paleografia presso la Scuola di Archivistica dell’Archivio Segreto Vaticano (2010). Dal 2010 Lavora per CAeB (Cooperativa Archivistica e Bibliotecaria) presso le biblioteche dell’Università di Perugia come bibliotecario e come archivista presso l'Archivio Storico del Comune di Gubbio. Si occupa di Biblioteche Digitali e formazione in ambito di biblioteconomia digitale. Nel 2014 membro del Comitato Esecutivo Regionale dell’Associazione Italiana Biblioteche (AIB) sezione Umbria, membro del gruppo AIB sul portfolio professionale e nel triennio 2017-2020 Presidente eletto di AIB Umbria. Dal 2020 membro dell'Osservatorio Formazione dell'Associazione Italiana Biblioteche. Autore di diversi articoli e interviste per Insula Europea sul tema degli archivi, delle biblioteche e del digital lending.
Link:
https://mariocoffa.wixsite.com/e-portfolio
http://vegajournal.academia.edu/MarioCoffa
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